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Pamela Genini, la fine di un incubo ignorato: violenze, minacce e silenzi

di Eleonora Ciaffoloni -


Si è avvalso della facoltà di non rispondere Gianluca Soncin, il 52enne accusato di aver ucciso brutalmente con 24 coltellate la sua compagna, Pamela Genini, di 29 anni. L’uomo è comparso ieri mattina davanti al gip di Milano Tommaso Perna, ma ha scelto di restare in silenzio. Ora si trova in isolamento nel carcere di San Vittore di Milano, in attesa della decisione del giudice sulla convalida del fermo. L’accusa è quella di omicidio, pluriaggravato da premeditazione, futili motivi, crudeltà e stalking.

La ricostruzione dei fatti

I fatti, purtroppo, sono noti: la sera di martedì, poco dopo le 21.30, Soncin ha fatto irruzione nell’appartamento di Pamela Genini, grazie ad una copia delle chiavi dell’appartamento, preparata di nascosto alcune settimane fa. La giovane in quel momento era al telefono con l’ex fidanzato, a cui aveva confidato le sue paure. Quando l’uomo ha forzato la porta, lei ha gridato chiesto aiuto, ha gridato e intimato di chiamare la polizia. Gli agenti sono arrivati, ma la donna era già stata aggredita: ferita, ha risposto al citofono fingendo che si trattasse di una consegna e indicando il piano. Quando la polizia è riuscita ad aprire la porta, Pamela era a terra, in fin di vita.

I soccorsi sono stati vani e la 29enne è morta in pochi minuti. Il primo esame medico-legale parla di almeno 24 coltellate inferte con un coltello a serramanico, ma sarà l’autopsia a stabilire con esattezza il numero dei colpi e quali siano stati quelli fatali.

La storia e le violenze pregresse

Pamela e Gianluca Soncin si erano conosciuti nel marzo 2024. Quella che era iniziata come una relazione sentimentale si era presto trasformata in un incubo. Secondo le testimonianze raccolte dagli inquirenti, l’uomo si era mostrato violento e ossessivo, incapace di accettare la fine della storia. Nel corso di un anno e mezzo, avrebbe sottoposto la compagna a una escalation di maltrattamenti: botte, calci, minacce, pedinamenti, aggressioni fisiche. In più di un’occasione avrebbe cercato di colpirla con un coltello o un coccio di bottiglia. L’aveva anche costretta a lasciare il lavoro e trasferirsi a Cervia, dove lui viveva. Pamela, secondo le confidenze agli amici, aveva paura di lui: “Se lo lascio, mi uccide”, aveva detto.

Ed è stato così: martedì pomeriggio, poche ore prima del delitto, la giovane aveva deciso di chiudere definitivamente la relazione e la reazione del compagno è stata quella di porre fine alla sua vita. Dopo l’omicidio, Soncin si è inferto alcuni tagli, poi è stato soccorso e portato all’ospedale Niguarda, dove ha passato la notte sotto sorveglianza.

Nella sua abitazione di Cervia i carabinieri hanno sequestrato una decina di coltelli, tra cui cutter e lame a serramanico simili all’arma del delitto, oltre a pistole scacciacani. Il 52enne non era nuovo ai guai con la giustizia: in passato era stato arrestato per truffe nella compravendita di auto di lusso e aveva precedenti per aggressioni. La Procura di Milano sta verificando se la vittima avesse sporto denunce in altre città, perché a Milano, al momento, non risultano segnalazioni formali contro di lui.

Davanti al gip, Soncin ha mantenuto il silenzio, come già aveva fatto subito dopo l’arresto. La sua prima avvocata, Simona Luceri, ha riferito che il suo assistito “non è lucido” e “non ha ancora preso consapevolezza di quanto accaduto”. L’uomo ha ora nominato un nuovo legale di fiducia, con cui definirà la strategia processuale. Strategia che andrà a scontrarsi con un quadro che è stato definito dagli inquirenti “agghiacciante”. Non solo dalle testimonianze raccolte la sera dell’omicidio – grida e suppliche sentite dai vicini e addirittura testimonianze oculari dell’aggressione – ma anche da quelle dell’ex fidanzato con cui la giovane era rimasta in buoni rapporti, e degli amici.

I racconti di Pamela Genini

Le violenze andavano avanti da almeno un anno” ha raccontato la migliore amica di Pamela Genini. “Mi raccontava che la chiamava tantissime volte al giorno e sul cellulare mi inviava le foto dei lividi per le botte subite”. “Mi ha chiamata disperata dicendo che si era arrabbiato per una gelosia. L’aveva presa per i capelli, lanciato addosso una valigia e riempita di botte”. Aggiunge l’amica, che disegna un Soncin che alternava promesse di costruire una famiglia insieme a minacce diffuse. Dal matrimonio, alle botte. Dalla nuova casa, alle minacce di morte. La violenza era evidente, in molti coscienti di essa.


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