Liberiamo Barghouthi, così magari firma la pace… col sangue degli altri
Quando l’impegno civico diventa surreale: firmare per un assassino convinto per sentirsi dalla parte giusta.
C’è una nuova moda internazionale: la petizione per liberare Marwan Barghouthi. Sì, proprio lui, condannato a cinque ergastoli per l’uccisione di civili israeliani. Non un poeta, non un dissidente, ma un leader politico che ha difeso e incoraggiato la lotta armata. Eppure, secondo i promotori, sarebbe il Mandela palestinese. Una definizione che fa tremare Nelson nella tomba.
La richiesta è semplice, e surreale: liberiamolo subito, perché “potrebbe guidare il popolo palestinese verso la pace”. È un po’ come affidare il ministero dell’Ambiente a chi ha appena incendiato una foresta.
La pace a comando
Secondo la petizione, Barghouthi sarebbe il simbolo della riconciliazione e un leader capace di unificare le fazioni palestinesi. Peccato che le fazioni in questione spesso si combattono a colpi di razzi e attentati. Cinque ergastoli, quarant’anni di carcere e accuse di omicidi: tutto cancellato con un post su internet.
Il testo parla di atto di buona volontà e “fiducia reciproca”. Parole bellissime, che mascherano la realtà: chiedere la liberazione di chi ha ucciso innocenti non è un gesto di pace, ma un atto di illusione morale. Firmare un appello dal divano europeo è comodo, coraggioso non c’entra nulla.
Il paradosso dell’impegno
Se la chiave della pace fosse liberare chi ha sparso sangue, allora ogni conflitto potrebbe risolversi in un attimo: apriamo tutte le carceri, mettiamo una colomba bianca e brindiamo alla nuova era dell’umanità. La realtà, purtroppo, è un’altra: la pace non nasce dall’oblio, ma dalla giustizia.
Dietro certe campagne non c’è coscienza civile, ma comodità e vanità. Liberare Barghouthi “perché è popolare” non è speranza, è resa morale. E se questo è il nuovo volto dell’impegno, allora sì: abbiamo bisogno di un corso accelerato di logica e umanità.
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