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Attualità

L’abbraccio di Mattarella ai familiari simbolo di un Paese unito nel dolore

di Ivano Tolettini -


Sotto il cielo limpido di un ottobre che trattiene il respiro, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella scende lentamente i gradini della Basilica di Santa Giustina. Sul sagrato, tra le note solenni della marcia funebre suonata dalla fanfara dell’Arma e il silenzio irreale della folla, lo attende l’Italia più ferita e più vera.

La commozione di tutti

È il momento in cui la commozione diventa simbolo: l’abbraccio del Capo dello Stato ai familiari dei tre carabinieri uccisi a Castel d’Azzano non è più un gesto privato, ma un atto collettivo, un riconoscimento che attraversa il Paese e lo stringe, finalmente, in un unico dolore. Christian, il figlio di Valerio Daprà, il militare che aveva conosciuto il Libano, la Somalia e l’Iraq, è lì davanti a lui. Mattarella gli prende le mani e lo guarda negli occhi, come si guarda un figlio rimasto solo. Poco più in là, la premier Giorgia Meloni commossa china il capo davanti ai feretri avvolti nel tricolore.

“La via del servizio per il bene comune”

Le bare, una accanto all’altra, avanzano tra due ali di folla. Applausi sommessi, volti rigati, uniformi irrigidite dalla disciplina e dal pianto trattenuto. È il cuore d’Italia che si fa corpo, che onora Marco Piffari, Valerio Daprà e Davide Bernardello, caduti per dovere, travolti dalla follia di tre fratelli disadattati. Nella Basilica, poco prima, l’arcivescovo ordinario militare, monsignor Gian Franco Saba, aveva pronunciato parole che risuonano come un testamento civile: “Marco, Valerio e Davide hanno seguito la via del servizio per il bene comune”. È la verità di una dedizione che ha attraversato la vita dei tre militari, ciascuno con la sua storia, le sue missioni, le sue paure. L’Italia si è raccolta intorno a loro. Da Mattarella e Meloni (e con lei mezzo governo), ai presidenti delle Camere La Russa e Fontana, al ministro Crosetto e alla leader del Pd, Elly Schlein, oltre a tanta gente comune e i bambini con i fiori in mano. Tutti fermi davanti al dolore che non conosce appartenenze.

I ricordi spezzati dal dolore

Padova ieri pomeriggio si è trasformata in un altare civile, in un teatro del dolore composto, sotto l’attenta regia del questore Marco Odorisio, dove non si grida, ma si ascolta. Crosetto ha parlato con la voce rotta: “L’Italia è qua e si raccoglie in un profondo dolore. Tre uomini, tre carabinieri, tre servitori dello Stato”. E quel “grazie” che il ministro della Difesa ha sussurrato ai familiari sembrava il “grazie” di un popolo intero, incapace di trovare parole più grandi del dolore stesso. Poi sono stati i familiari a parlare. Andrea, il fratello di Marco Piffari, ha chiesto che “il loro sacrificio non sia vano”. Christian Daprà ha ricordato il padre “che ha dedicato tutta la vita al dovere, al servizio e all’amore”. Fredile Bernardello, il papà di Davide, ha detto: “Non ricordo l’ultima volta che ti ho preso in braccio e non sapevo che fosse l’ultima. Eri un’anima gentile, di quelle che non si trovano più”. Sul sagrato, l’ultimo atto: i feretri portati a spalla dai colleghi con le mani tremanti.

Presenti anche i carabinieri feriti

La gente si inginocchia, alcuni fanno il segno della croce, altri applaudono, quasi a voler riempire il vuoto. I carabinieri feriti, quelli sopravvissuti all’esplosione, sono lì, con le fasciature alle mani e al volto. Hanno voluto esserci, anche così. Uno di loro stringe la foto dei compagni caduti e non smette di fissarla. Dice solo: “Non li dimenticheremo mai”. Nella memoria collettiva restano le parole del padre di Piffari: “Mio figlio è sopravvissuto a Mogadiscio, alla Libia, all’Afghanistan, ma è venuto a morire qui. Non perdonerò mai che sia stato ammazzato da gente che non gli ha dato la possibilità di difendersi”. Parole che fendono l’aria come un atto d’accusa e, insieme, come una preghiera civile: che lo Stato non dimentichi, che la giustizia arrivi, che la follia non cancelli il senso del dovere.

L’Italia stretta in un abbraccio

Quando i feretri escono dalla chiesa, l’applauso esplode come una benedizione. In quell’istante, l’Italia intera sembra riconoscersi in quell’abbraccio: i genitori, i figli, i colleghi, i cittadini. Tutti sanno che quel dolore non appartiene solo a Padova o all’Arma, ma a un Paese intero che, ancora una volta, si scopre unito davanti al sacrificio dei suoi uomini migliori. Quando la piazza si svuota lentamente, restano i fiori sul sagrato e le bandiere abbassate. Un carabiniere anziano, con il cappello in mano, sussurra: “Onore ai nostri fratelli”. E cammina via, con passo lento, come chi sa che il dovere non finisce mai.


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