Gli stipendi nel buco nero delle tasse
L'urlo di Mattarella sui salari bassi, i numeri Istat sul sommerso: il ceto medio rischia grosso
Stipendi bassi, tasse alte. Il cortocircuito è servito. In Italia ci sono tre categorie di contribuenti. Quelli troppo ricchi per essere tassati, a cui, quando si chiede qualcosa (leggi banche) occorre farlo sempre per favore. Quelli troppo poveri per poterne cavare qualcosa e che, tra un fuoribusta e l’altro, campano di bonus, mancette, social card, sostegni al reddito erogati da qualunque ente possibile e immaginabile. E infine ci sono quelli di mezzo che debbono sganciare per tutti e tre. Nel Paese in cui un cittadino su due non paga un euro di Irpef (dati Cida) la pressione fiscale (per chi le tasse le paga, magari alla fonte) è disastrosamente alta: supera il 42,5%. Roba da Stati scandinavi. Senza nemmeno l’ombra dei servizi. Nei mesi scorsi, a questo proposito, il Censis ha lanciato l’allarme alla politica: tasse alte, zero servizi, vedete non ci crede più nessuno al welfare state.
Così si va a sbattere perché, come ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chi paga per tutti rischia di essere sempre più povero. E, aggiungeremmo noi, incazzato. I salari reali, in Italia, sono imbarazzanti. Chi campa di stipendio (regolare) non ci arriva più a fine mese. E avrebbe, davvero, bisogno di una mano. Che, però, gli viene negata. Perché, nelle graduatorie dei bonus, arriva sempre ultimo o comunque è sopravanzato con regolarità dai poveri. Veri o falsi che siano. Lo ha riferito l’Istat, l’Italia è il Paese in cui l’economia sommersa vale poco più del 10 per cento del Pil. In soldoni, è proprio il caso di dirlo, solo in termini di sottodichiarazione e lavoro irregolare nel 2023 si è raggiunto un giro d’affari che sfonda i 185,3 miliardi di euro. Per capirci, quasi l’ammontare dell’intero Pnrr sfugge ai pur occhiutissimi radar del Fisco. E si tratta di una cifra destinata a crescere: è cresciuta di ben 14,5 miliardi. Più del Ponte sullo Stretto. Le stime Istat riferiscono che i lavoratori irregolari a tempo pieno, nel 2023, siano stati 3,132 milioni. Poco più dei residenti dell’intera area metropolitana di Roma. Sono cifre enormi e imbarazzanti. Va da sé che, poi, il gioco venga falsato. Si lavora in nero o magari in grigio, intascando di tanto in tanto qualche fuoribusta. Si aprono (ancora) partite Iva per bypassare le noie (e gli obblighi…) di un rapporto lavorativo regolare. Le imprese furbette, così, abbattono i costi. E poi, quando escono i report sulla povertà, ci si stupisce perché gli operai, specialmente gli stranieri, si ritrovano sotto la soglia di povertà. Non è sempre così ma, considerando i numeri impressionanti del report Istat sull’economia sommersa, non è poi tanto fantascientifico pensare che, in troppi, preferiscano elargire (o incassare) un fuoribusta piuttosto che fare le cose perbene. Tanto, poi, c’è il pubblico che (coi soldi dei soliti fessi…) paga bonus e mance assortite.
Un peccato che si scelga un modello simile quando, in Italia, abbiamo pur avuto imprenditori illuminati come Adriano Olivetti. Mattarella però ha deplorato i contratti pirata, i salari bassi e li ha messi a confronto coi i super premi dei manager. Il giochino è sempre il solito. Quasi vent’anni da Lehmann Brothers sono passati invano. “Il mondo cambia”, come ha detto Philippe Navratil, nuovo Ceo di Nestlé. Che ha pensato bene di insediarsi alla guida del colosso svizzero dell’agroalimentare annunciando 16mila licenziamenti e solo per far felici gli azionisti. Il guaio, vero, è che non ci sia nemmeno uno straccio di Charles Dickens, oggi, a denunciarlo. Eppure, senza per forza andare in Africa o Medio Oriente, di Oliver Twist (magari un po’ cresciutelli) se ne troverebbero a iosa in Europa. Basterebbe passare in Grecia dove il governo locale ha avviato la riforma del lavoro che prevede l’innalzamento dell’orario a tredici ore al giorno. Cose che da noi, sottotraccia, si fanno già e passano per essere del tutto normali, soprattutto nel privato. Non è un mistero che le grandi multinazionali si siano stabilite in Irlanda per pagare meno tasse e che solo quando vengono pizzicate dal Fisco si decidano di sedersi a un tavolo. Per trattare, sia chiaro. Gli squilibri e le furberie portano al collasso di un sistema che mostra segnali inquietanti, a cominciare dall’astensionismo galoppante. Che ha agevolmente superato il 50% a queste Regionali. Prima si interviene e meglio è. Altrimenti, a furia di dover pagare per tutti, anche Pantalone, che si è già stancato di votare, si stuferà di reggere, da solo, la baracca Italia.
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