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Esteri

Trump, Meloni, l’Ucraina e la memoria corta dei pasdaran dell’Unione europea

La strategia con la clava del presidente Usa e il ruolo dell'Italia

di Ernesto Ferrante -


In un video-messaggio alla Fondazione degli italo-americani Niaf, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha affermato che l’Italia si accingerebbe a negoziare direttamente con Washington sui dazi e sarebbe orientata a ridimensionare il suo sostegno all’Ucraina. Le parole del tycoon, nel giro di pochi minuti, hanno sollevato un autentico vespaio.

La minoranza all’attacco della premier Meloni

Le opposizioni hanno chiesto alla premier Giorgia Meloni di chiarire in Parlamento. Gli stessi che si erano strappati vesti e capelli per l’accordo al ribasso sulla tariffa base del 15% sulla maggioranza dei beni importati dall’Europa, siglato a luglio con Trump dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel lussuoso Golf Club di Turnberry in Scozia, oggi denunciano un attacco all’integrità europea.

Doppi standard

Si tratta dei medesimi personaggi che si erano spellati le mani alle 17 del 22 agosto per applaudire l‘intervento di Mario Draghi al Meeting di Rimini. “Per anni l’Ue ha creduto che la sua dimensione economica – aveva sentenziato l’ex premier –, con 450 milioni di consumatori, portasse con sé potere geopolitico e nelle relazioni commerciali internazionali. Quest’anno sarà ricordato come l’anno in cui questa illusione è evaporata”. E non si contano gli attacchi indirizzati contro l’esecutivo da buona parte della minoranza per le forniture di armi a Kiev.

Nel mondo al contrario è cambiata completamente la scena, non si capisce bene se a causa dell’insofferenza per lo spazio e la visibilità che il presidente statunitense sta dando a Meloni, oppure per una reale svolta strategica di affrancamento totale da quegli Stati Uniti ritenuti il faro di ogni cosa con Clinton, Obama e Biden alla Casa Bianca e Letta, Gentiloni, Renzi, “Giuseppi” bis Conte e Draghi a Palazzo Chigi. Chiaramente Trump non agisce da filantropo. Il suo asse con Roma risponde a una tattica per allargare lo squarcio in Europa.

La sfuriata di Trump

L’eventuale riduzione del supporto italiano agli ucraini, tutta da dimostrare, avrebbe una sua logica alla luce del burrascoso incontro di venerdì tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky. “Accetta le condizioni poste da Vladimir Putin per la fine della guerra o il presidente russo distruggerà l’Ucraina”, avrebbe detto il leader repubblicano al suo ospite, convinto di ricevere dei Tomahawk per colpire la Russia in profondità. Secondo fonti a conoscenza delle dinamiche del faccia a faccia, il padrone di casa avrebbe gettato via le mappe del fronte di guerra e insistito affinché Zelensky consegnasse il Donetsk all’avversario.

Trump ha dichiarato a Fox News di essere fiducioso di poter mettere fine al conflitto, aggiungendo che il presidente russo “si prenderà qualcosa”. Giovedì Putin ha fatto una nuova proposta al Potus, in base alla quale l’Ucraina dovrebbe cedere le parti del Donbass sotto il suo controllo in cambio di alcune aree limitate delle due regioni di Kherson e Zaporizhzhia.

I negoziati tra Stati Uniti e Russia a Budapest

Il Cremlino ha espresso la speranza che il futuro incontro in Ungheria tra i presidenti di Russia e Stati Uniti possa “fare avanzare un accordo pacifico sull’Ucraina”. “C’è un lavoro serio in corso. Vedremo cosa accadrà dopo”, ha detto il portavoce Dmitry Peskov, precisando che per ora “non ci sono dettagli” sulla presenza di Volodymyr Zelensky, che aveva espresso l’intenzione di partecipare, se invitato. Il portavoce ha riferito che “i preparativi per il vertice non sono ancora veramente iniziati” e che “non è stato ancora avviato il lavoro di squadra necessario per creare le condizioni adeguate a negoziati su larga scala”.

Il ministro degli Esteri ungherese, Peter Szijjarto, ha annunciato via social che oggi sarà negli Usa. Szijjarto non ha rivelato chi vedrà né l’agenda della sua visita. Il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha avuto un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, durante il quale sono stati discussi i “possibili passi concreti da intraprendere” per attuare gli accordi raggiunti durante la chiamata tra Vladimir Putin e Donald Trump del 16 ottobre.


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