Il caso del Teatro Quirinetta: quando la burocrazia spegne la cultura
Roma rischia di perdere uno dei suoi cuori pulsanti
Nel cuore della Capitale, a pochi passi da Fontana di Trevi, le luci del teatro Quirinetta restano spente. Un silenzio surreale avvolge uno degli spazi più iconici della cultura romana ormai dal 2018. Nel frattempo, in tutta Italia, le stagioni teatrali ripartono, i palchi che si riaccendono e le città tornano a vivere di arte. Ma non Roma, almeno non al Quirinetta.
Il teatro, prigioniero della burocrazia, stava per rivedere la luce e riscrivere il proprio destino in occasione del Giubileo 2025. Un’uscita dall’oscurità con la mostra “La grande Luce. Padre Pio tra Scienza e Fede”. Ma quello che avrebbe dovuto essere l’evento inaugurale di una nuova stagione culturale è diventato il simbolo di una occasione mancata. E la mostra, in forma ridotta, è stata dirottata altrove. Questa, tuttavia, non è stata l’unica a saltare: di conseguenza è stata stroncata sul nascere l’intera stagione della compagnia Fattore K, costretta a migrare in altri teatri romani per non interrompere il proprio lavoro artistico.
Persino “Aspettando Godot”, previsto al Quirinetta, è stato messo in scena al Teatro Antigone, in un simbolico paradosso: il capolavoro di Beckett rappresentato da chi continua ad “aspettare” che le porte di casa propria si riaprano.
Il progetto di rinascita del teatro Quirinetta
Eppure, dal 2023 esiste un progetto di rinascita concreto e strutturato, nato per restituire al pubblico un teatro che è parte integrante della memoria artistica italiana. Un piano sostenibile, visionario, capace di coniugare storia e innovazione. Ma tutto è fermo. Ancora una volta, per un problema che definire assurdo è riduttivo. Un’infiltrazione d’acqua proveniente dai piani superiori — di proprietà di terzi — blocca la riapertura dal 2019. Il danno non viene riparato. I proprietari non autorizzano il conduttore a intervenire, la compagnia assicurativa non paga.
La battaglia di Maverick Lo Bianco
Il risultato? Un teatro vivo, pronto, agibile, resta chiuso per colpa di un paradosso burocratico. Eppure, c’è chi non si arrende. A guidare il progetto per la riapertura del Quirinetta è Maverick Lo Bianco, attore e regista, fondatore della compagnia Never. Dopo un’esperienza internazionale, Maverick è tornato in Italia con un sogno: ridare vita al Quirinetta e trasformarlo in una “Casa degli Artisti”, un luogo libero, inclusivo, dove creatività e sperimentazione possano respirare senza logiche commerciali soffocanti.
In collaborazione con Fattore K, Lo Bianco ha elaborato una visione in linea con il suo progetto “Mediterraneo”, iniziativa internazionale che coinvolge partner da Regno Unito, Canada, India e Arabia Saudita, promuovendo sostenibilità, dialogo interculturale e innovazione. La sua è una missione che va oltre la semplice riapertura di un teatro: è una battaglia simbolica per la difesa del diritto alla cultura.
Perché non è solo una questione di mattoni e infiltrazioni: il Quirinetta rappresenta un pezzo di storia viva. Tra gli anni ’30 e ’50, tra quelle mura, Ernest Hemingway trovò ispirazione durante i suoi soggiorni romani. Qui sono passati artisti i Måneskin (che “chiusero” il teatro Quirinetta con una tappa del loro tour del 2018) oggi star internazionali. Qui il passato e il presente della musica e del teatro si incontrano, generando nuove energie.
Eppure, mentre gli spazi culturali si moltiplicano in altre capitali europee, Roma rischia di perdere uno dei suoi cuori pulsanti, vittima dell’indifferenza e delle pastoie amministrative. Maverick Lo Bianco con Fattore K, nonostante i canoni regolarmente pagati e gli sforzi economici sostenuti da due anni, rischia di perdere definitivamente la gestione del teatro.
L’appello
Un destino che ricorda quello di molte altre realtà, ma anche quello di oltre 500 teatri chiusi in Italia: un patrimonio disperso tra incuria, lentezze e conflitti di competenza. E così dal palco vuoto del Quirinetta, parte un appello aperto: a Roma, alle istituzioni, agli artisti, ai cittadini. A rispondere sono già in molti: musicisti, attori, registi, atleti, intellettuali. Perché difendere questo luogo significa difendere la memoria culturale e l’identità creativa italiana. Significa riaffermare che la cultura non è un lusso, ma un bene pubblico, un diritto collettivo.
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