Tanzania: sangue alle urne
700 morti, opposizione repressa, democrazia calpestata nel silenzio internazionale
Il 29 ottobre 2025, la Tanzania ha vissuto una tornata elettorale che ha sollevato forti dubbi sulla sua legittimità. La presidente uscente Samia Suluhu Hassan è stata riconfermata in un contesto privo di veri sfidanti, con l’opposizione praticamente esclusa dal processo. Il Partito Chadema, guidato da Tundu Lissu, ha boicottato il voto dopo l’arresto del suo leader. Anche Luhaga Mpina, candidato dell’ACT-Wazalendo, è stato estromesso dalla Commissione elettorale. Il risultato? Una competizione senza competizione, dove oltre 37 milioni di cittadini sono stati chiamati alle urne per un voto che molti hanno definito una “incoronazione” più che una scelta democratica. L’affluenza è stata bassa, e gli osservatori internazionali presenti non hanno ancora rilasciato valutazioni ufficiali.
Proteste e repressione: il bilancio umano
Le proteste sono scoppiate il giorno stesso delle elezioni, con manifestazioni in diverse città, tra cui Dar es Salaam e Mwanza, dove si sono registrati i maggiori scontri. Secondo Chadema, il bilancio delle vittime potrebbe arrivare fino a 700 morti, anche se le autorità non hanno confermato questi numeri. A Namanga, al confine con il Kenya, due giovani sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco sparati dalla polizia tanzaniana contro manifestanti che si trovavano sul lato keniota del valico. La tensione è aumentata anche per il coinvolgimento del figlio della presidente Hassan, che secondo il sito investigativo Africa Intelligenceguiderebbe una “task force” informale accusata di rapimenti e intimidazioni contro oppositori, tra cui la nota influencer Niffer. Amnesty International ha denunciato una vera e propria “ondata di terrore”, segnalando sparizioni forzate, torture, arresti arbitrari ed esecuzioni extragiudiziali.
Elezioni Tanzania: una democrazia da difendere, non da celebrare
La Tanzania, un tempo considerata un esempio di stabilità nella regione, oggi appare attraversata da una crisi profonda. Il pluralismo è ridotto al minimo, il dissenso represso con la forza, e la democrazia trasformata in un rituale vuoto. Il silenzio della comunità internazionale è preoccupante. Le istituzioni africane e globali, pur presenti come osservatori, non hanno ancora espresso una condanna chiara. Ma la democrazia non è solo il diritto di votare: è anche il diritto di scegliere, di dissentire, di vivere senza paura. E quando tutto questo viene negato, non si può restare neutrali. Serve attenzione, solidarietà e verità. Perché il futuro della Tanzania non può essere costruito sulla repressione, ma sul dialogo, sulla giustizia e sul rispetto dei diritti umani.
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