Meloni resta il brand che vince tra Roma e Nord Zaia sfida Salvini e FdI nelle urne
Il marketing politico, quando funziona, non copre i buchi: li rivela. In Veneto la Lega ha tolto dal simbolo il nome del segretario: Salvini sparisce dall’ovale come un brand appannato. È una mossa difensiva travestita da restyling: depersonalizzare il marchio per non indebolire la corsa territoriale di Alberto Stefani, lasciando spazio al “metodo Zaia”, molto più spendibile di qualsiasi slogan. Non a caso il Capitano chiuderà la campagna elettorale a Mestre con Tajani e Meloni, ma per il resto terrà un profilo basso. La scelta racconta due cose: il Nord non compra più la narrazione della “Lega nazionale” e il partito, per sopravvivere nella sua culla, deve dissociare il prodotto dal testimonial. Anche Vannacci resta ai margini: non è digerito da una base che vota pragmatismo amministrativo, non bandiere identitarie.
Veneto e modello Zaia contro il brand Meloni
È comunicazione, certo, ma è soprattutto politica.
Zaia e la Liga fronteggiano un paradosso: per vincere in Veneto, bisogna sottrarre il Veneto a Salvini. Il simbolo diventa neutro, e la campagna si costruisce sulla gestione Zaia: infrastrutture, rete sanitaria e autonomia. La regola non scritta è semplice: più territorio, meno ideologia. Il Veneto, laboratorio da trent’anni, manda un messaggio al centrodestra: l’elettore del Nord non vuole capipopolo, vuole amministratori. È la stessa grammatica che un tempo rese forte la Lega delle origini; ora torna come monito a chi ha scambiato la militanza digitale per consenso reale. Nel panorama politico, però, c’è un’eccezione: Giorgia Meloni.
Il suo brand è l’unico capace di reggere sia sul piano nazionale che territoriale. Lo dimostra la Puglia, dove Fratelli d’Italia ha scelto di mettere il suo nome a caratteri cubitali nei simboli elettorali, e dove la premier resta la calamita principale di consenso, molto più del candidato civico Lobuono in ribasso. Meloni non solo mantiene, ma amplifica la riconoscibilità del partito: è il volto che parla a tutti i livelli, da Roma ai piccoli Comuni. La sua leadership è verticale, ma anche identitaria. Spiega perché, nel centrodestra, le altre forze si muovono più per contenimento che per espansione. In Campania, lo stesso schema si ripete: il centrodestra cerca visibilità con ministri e slogan nazionali, ma la distanza dai territori resta. Cirielli e Crosetto parlano di caserme riconvertite in ospedali e di sicurezza, ma il centrosinistra è avanti e gode di un radicamento che resiste alle oscillazioni dei simboli.
Puglia e Campania tra leadership e territorio
Ecco che dove Meloni non arriva di persona, arriva il suo marchio, ma non basta a invertire la rotta: servono amministrazioni solide, reti locali, volti riconosciuti. Il filo che lega Veneto, Puglia e Campania è chiaro: il centrodestra è a trazione Meloni, e la Lega vive un ripiegamento difensivo. Il “modello Zaia” tenta di rimontare FdI, con l’autonomia veneta che rivitalizza l’identità territoriale dal logoramento del marchio nazionale. Ma la partita vera è un’altra: FdI cresce dove il brand Meloni trascina, la Lega arretra dove il brand Salvini pesa. Dunque, i simboli parlano più dei comizi. E oggi dicono che c’è un solo leader capace di coniugare nazione e territorio, palazzo Chigi e provincia. È Meloni che dopo tre anni di governo riesce ancora a essere l’unico marchio politico in ascesa. Gli altri sono stazionari o arretrano. Che piaccia o meno.
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