Non parlate di crescita, con questa manovra non cresce nulla. Manco lo spread. Che, difatti, è sceso stabilmente sotto la soglia degli ottanta punti e ieri ha chiuso a 75. Una buona notizia. Anzi, ottima. Peccato, però, che sia l’unica. Perché l’opinione generale, a proposito della Legge di Bilancio che il governo si appresta a presentare al Parlamento, non è per nulla lusinghiera. La parola chiave, appunto, è “crescita”. E non c’è. Confindustria ritiene che la manovra non avrà alcun impatto sul Pil.
La manovra senza crescita
Il direttore generale Maurizio Tarquini ha snocciolato numeri e dati non proprio esaltanti, accompagnati da un giudizio non esattamente entusiasta: “Il disegno di legge di Bilancio mobilita risorse pari a 21,3 miliardi nel 2026, 18,8 nel 2027 e 16,4 nel 2028, a fronte di coperture pari a 20,4 miliardi nel 2026 (inclusi i 5,1 miliardi da rimodulazione Pnrr), 13,0 nel 2027 e 9,6 nel 2028: il risultato – ha spiegato Tarquini durante l’audizione – è una manovra sostanzialmente a saldo zero, senza impatto significativo sul Pil”. Qualcosa di buono, comunque, c’è: “La disponibilità al dialogo del governo si è tradotta nella condivisione di scelte importanti, in primis quelle su iperammortamento e Zes Unica”. Non basta, però: “La manovra non ha la dimensione adeguata a rilanciare la competitività delle imprese, pur centrando alcuni obiettivi rilevanti”. Due, su tutti, i temi che inquietano gli industriali: il futuro del Pnrr e il costo dell’energia.
Il contagio del dubbio
I dubbi, però, albergano anche nelle altre categorie produttive del Paese. “Una manovra, del valore complessivo di 18,8 miliardi di euro che, pur concentrandosi su famiglie e imprese, presenta effetti espansivi limitati”, ha detto Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio. Secondo cui: “Il quadro macroeconomico, seppur positivo con inflazione in calo, occupazione ai massimi storici e redditi reali in crescita è frenato da consumi deboli e bassa fiducia di cittadini e imprese”. Tradotto: “Occorrono più risorse e misure più adeguate a sostenere competitività e crescita”.
Quella di Confesercenti non si discosta poi molto dalle analisi delle altre organizzazioni: “Il taglio della seconda aliquota Irpef risulta inferiore rispetto alle anticipazioni della stampa: non 4 miliardi, ma 2,9. Con questa impostazione, secondo le nostre valutazioni l’effetto della manovra sulla crescita sarà minimo”. Ecco perché: “La riduzione dell’aliquota Irpef al 33% genera un beneficio di 2,9 miliardi, la detassazione degli incrementi contrattuali di 475 milioni, la corresponsione di una somma a titolo di trattamento integrativo speciale per i dipendenti del comparto turistico-alberghiero con redditi fino 40mila euro, di 17 milioni. L’insieme di questi interventi ammonta tuttavia ad appena 4,2 miliardi – concludono da Confesercenti, lo 0,3% del reddito disponibile delle famiglie e non ha quindi dimensioni sufficienti a modificare le decisioni di consumo”.
Lo scetticismo dei sindacati
Scettica pure la Cna: “La manovra mantiene la barra dritta sulla sostenibilità dei conti pubblici perseguendo con coerenza gli obiettivi di riduzione del deficit e del debito, ma appare incerta nella allocazione delle risorse destinate alla crescita e al sostegno degli investimenti, che sembra tener poco conto della realtà del tessuto produttivo che è composto prevalentemente da micro e piccole imprese”, sentenziano gli artigiani. Insomma, la grande assente di questa manovra è proprio la crescita. Cosa che, del resto, hanno rilevato anche i sindacati. A cominciare dalla Cgil che ha parlato di crescita “anemica” affermando che saranno “i lavoratori a pagare”. La Uil, che s’è distaccata dall’approccio barricadero di Landini e compagni, deplora la flat tax ma giudica positivi gli interventi sui contratti e l’aver rimesso al centro proprio il tema, negletto, della contrattazione.
Banche e problemi
La Cisl ha chiesto di soprassedere sulla rottamazione delle cartelle e di trovare il coraggio (e i fondi) per rendere più incisivo il taglio dell’Irpef. Dal sindacato, inoltre, è arrivato l’appello a fare in modo che i costi del contributo delle banche non ricadano sui conti corrente dei cittadini. Già, le banche. Che lunedì sera, con Abi, hanno espresso tutto il loro disappunto sull’argomento. Parlando di 9,6 miliardi di esborsi aggiuntivi in tre anni e dei pericoli che potrebbero correre le piccole banche dall’applicazione delle nuove imposte. L’Ugl, invece, è tornata sul tema della crescita auspicando, in manovra, una più decisa rimodulazione della pressione fiscale. Perché si possa pervenire a un “patto per il futuro” tra famiglie, lavoratori, imprese e Stato.