Lavorare fa paura: l’ergofobia, il nuovo male invisibile del secolo
C’è chi si alza la mattina con l’ansia anche dell’orologio. Chi non dorme la notte, al pensiero della riunione del giorno dopo, e chi al solo sentire la parola “lavoro” sente il cuore stringersi come in una morsa. Non è semplice stress: è “ergofobia”, la paura irrazionale del lavoro o dell’ambiente professionale. Un disturbo di cui si parla ancora troppo poco, ma che racconta in modo diretto il nostro tempo.
Il lavoro che fa male (?)
L’ergofobia non è ancora una diagnosi ufficiale nel DSM-5 – manuale dei disturbi mentali – ma è una realtà comunque concreta. Chi ne soffre può avere palpitazioni, tremori, sudorazione e crisi di panico solo all’idea di entrare in ufficio o di affrontare una chiamata di lavoro. Il corpo si ribella e la mente si chiude. Ogni e-mail diventa una minaccia, ogni “meeting” un incubo. Le possibili cause? Traumi professionali, mobbing, burnout e precarietà cronica. Ma anche un sistema che ci ha insegnato che il valore di una persona si misura in ore di straordinario che si misurano con il fatturato, non con il benessere.
Il mito tossico della produttività ad ogni costo
Nei tempi odierni “essere produttivi” è diventato un continuo e stressante confronto, un credo religioso della fede lavorativa. Non importa quanto si sia stanchi, quanto siamo infelici o quanto la salute mentale posa vacillare: se non si “performa”, si si sente – o ti fanno sentire – un fallimento, una nullità. È così che il lavoro, da strumento di dignità e indipendenza, si è trasformato in una gabbia dorata che logora lentamente chi la abita troppo. L’ergofobia nasce proprio qui: nel cortocircuito tra dovere sociale e sopravvivenza emotiva. Tra status personale e dimostrazione continua. Ci viene chiesto di essere sempre disponibili, sempre connessi, sempre all’altezza e sempre di più.
L’ergofobia: quando l’ufficio diventa un campo minato
Molti lavoratori oggi vivono il proprio posto di lavoro come un luogo di minaccia. C’è chi teme il giudizio del capo, chi vive nel terrore di perdere il posto, chi non riesce a gestire il peso della responsabilità e chi viene messo sotto pressione da colleghi ostili. Le persone non si ammalano di lavoro in senso figurato: si ammalano davvero, quando l’eccesso supera il buon senso. Secondo i dati dell’OMS, lo stress lavorativo è tra le principali cause di disturbi d’ansia e depressione nel mondo occidentale.
La terapia del silenzio e del limite da non oltrepassare
Curare l’ergofobia non significa solo andare dallo psicologo – anche se la terapia cognitivo-comportamentale e le tecniche di rilassamento sono strumenti fondamentali -. Significa anche riconoscere il diritto di dire basta, di mettere un confine tra sé e l’azienda, tra la vita e la produttività. Significa tornare a pensare che il tempo libero non sia un tempo perso. Che fermarsi non sia sinonimo di fallimento. Ma soprattutto indica che la dignità professionale non deve passare dal sacrificio continuo.
Una generazione stanca, ma non arresa
L’ergofobia è lo specchio di una generazione felice in apparenza, ma esausta dentro. Quella stessa generazione cresciuta con l’idea che il successo valga più della salute, che “chi si ferma è perduto”, che l’ansia sia un carburante, che superare i limiti sia “vita”. Forse, però, è arrivato il momento di riconoscere che non siamo nati per vivere schiacciati dal carico delle aspettative – altrui -, delle scadenze e della perfezione ad ogni costo, anche a quello di perdere la salute.
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