Altri 5 italiani nel gelo. La strage degli alpinisti non ha fine in Nepal
Il gelo che scende la sera tra le creste dell’Himalaya non porta solo freddo, ma un silenzio di morte, per una strage di alpinisti italiani di proporzioni inimmaginabili. Potrebbero essere addirittura dieci i connazionali che hanno perso la vita: a Stefano Ferronato, Alessandro Caputo, Paolo Cocco, Marco di Marcello (ma per i familiari “è ancora vivo”) e Markus Kirchler, si aggiungerebbero altri cinque alpinisti di cui non si hanno notizie da giorni. Nomi, voci, storie che si spengono una dopo l’altra nell’altitudine del nulla.
Gli alpinisti italiani dispersi
Sono ancora sette gli italiani dispersi in Nepal, mentre tre sono già stati trovati senza vita. È una delle tragedie più gravi dell’alpinismo italiano degli ultimi anni. La Farnesina lo ammette con cautela, ma la realtà delle ultime è terribile: “Non abbiamo più contatti con altri cinque connazionali. I loro cellulari non squillano, le comunicazioni sono interrotte”. Le autorità nepalesi hanno confermato il decesso di Alessandro Caputo e Stefano Farronato, le cui salme sono state recuperate nella zona del Manaslu Peak, e di Paolo Cocco, la cui salma è stata trasferita all’ospedale per stranieri di Kathmandu. Le vittime sono state travolte da valanghe che, da una settimana, stanno devastando le regioni montuose centrali del Paese.
Ma l’incubo non si ferma a queste tre croci
Due alpinisti, Marco Di Marcello e Markus Kirchler, sono dispersi nella zona di Yalung Ri, una delle aree più impervie e meno accessibili dell’intero massiccio himalayano. Fonti locali parlano ormai di “probabile decesso”, anche se le squadre di soccorso non hanno ancora rinvenuto alcuna traccia dei corpi. A questi due nomi, purtroppo, se ne aggiungono altri cinque, di cui non si conoscono ancora le generalità. “Non rispondono alle chiamate da giorni, e non è chiaro se si trovassero con i gruppi già segnalati o in un’altra spedizione autonoma”, spiegano dal ministero degli Esteri.
Il gelo dopo la valanga
Nelle ultime 72 ore l’Himalaya è diventato un deserto di ghiaccio e frane. Le immagini satellitari mostrano lingue di neve e detriti che hanno spazzato via interi tratti di sentiero tra Manaslu, Yalung Ri e Langtang. I campi base sono irraggiungibili, le linee telefoniche saltate, i ponti sospesi distrutti. Il console generale d’Italia a Calcutta, competente per il Nepal, è arrivato a Kathmandu nella notte, per coordinare di persona i contatti con le autorità locali e i soccorritori. Lavorano squadre miste di militari nepalesi e volontari sherpa. I soccorsi, tuttavia, sono rallentati dal maltempo e dall’altitudine: in alcune aree si vola solo con droni e ricognizioni fotografiche, mentre gli elicotteri restano fermi in attesa di finestre di visibilità di pochi minuti. “Negli ultimi giorni diverse aree dell’Himalaya nepalese sono state colpite da una serie di valanghe, che hanno travolto molti alpinisti fra cui alcuni italiani”, ripete la Farnesina. Ma la cifra dei dispersi cresce a ogni ora, segno che le spedizioni erano più numerose del previsto. Le autorità di Kathmandu non escludono che i cinque italiani non ancora identificati facessero parte di spedizioni private, dirette su percorsi minori, lontani dalle rotte commerciali dei grandi ottomila. In molti di questi itinerari, la registrazione alle autorità locali è solo facoltativa, e questo rende difficile risalire all’identità e alla posizione dei gruppi.
Le fonti nepalesi
Fonti nepalesi hanno riferito di tende travolte, di crepacci aperti sotto i ghiacciai, di interi campi base spazzati via. “Sotto la neve ci sono zaini, piccozze, scarponi. Ma non sappiamo se ci siano ancora persone vive”, ha dichiarato un funzionario del ministero del Turismo di Kathmandu. Nel mondo dell’alpinismo italiano, la notizia è un colpo durissimo. Le comunità di Milano, Vicenza, Bolzano e Teramo, da dove provenivano molte delle vittime, sono rimaste attonite davanti a un disastro che ricorda i tempi più tragici delle grandi spedizioni di fine Novecento. Le famiglie hanno ricevuto solo frammenti di notizie: un messaggio fermo su WhatsApp, un “ultimo contatto” segnalato dal satellitare, poi il nulla. “Sappiamo che erano partiti insieme per una traversata tra Yalung Ri e Numbur Peak”, racconta un amico di Di Marcello, contattato in Abruzzo. “Era una spedizione preparata seriamente, ma il meteo è impazzito. E da quattro giorni nessuno li ha più sentiti”. A Kathmandu, il campo dell’ospedale per stranieri si è trasformato in un luogo sospeso: medici, guide e consoli si parlano a gesti, mentre fuori, nella nebbia, arrivano i primi elicotteri con i corpi congelati.
L’impegno della Farnesina
Dalla Farnesina confermano che il console generale a Calcutta resterà a Kathmandu finché non sarà chiarita la sorte di tutti i connazionali. “Siamo in contatto costante con le autorità nepalesi e con le famiglie. Ogni informazione viene verificata prima di essere comunicata”. Il ministero ricorda che le condizioni meteo restano estreme: valanghe multiple, vento oltre gli 80 chilometri orari, temperature sotto i -25 gradi. In quota, ogni passo può essere fatale. Il governo di Kathmandu ha disposto una sospensione temporanea delle spedizioni turistiche in alcune aree, mentre le forze armate nepalesi tentano di riaprire i corridoi aerei per i soccorsi. Per la Protezione civile nepalese sarebbero almeno 43 le vittime accertate tra alpinisti e guide di diverse nazionalità, ma il numero è destinato a salire.
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