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Politica

Se Meloni non c’è i Fratelli frenano: nel Nordest e in Puglia rischiano di perdere terreno

di Ivano Tolettini -


I numeri parlano più delle parole. In Puglia, la candidatura del civico Luigi Lobuono, sostenuto dal centrodestra, non decolla: Antonio Decaro vola al 63,8%, con un vantaggio abissale di 30 punti. Ma in quel dato si nasconde un dettaglio rivelatore: FdI, che alle Europee di giugno aveva toccato il 27%, oggi è stimato al 17.

Un calo tanto netto quanto eloquente

In Veneto, la fotografia dell’Osservatorio Nord Est è ancora più simbolica: FdI oscilla fra il 21 e il 25%, mentre la Lega, tra il 22 e il 26%, mantiene un soffio di vantaggio. Ma rispetto al 37% ottenuto da Meloni alle Europee, si tratta di una perdita superiore ai 10. Certo, è un sondaggio, ma è la misura di quanto il consenso personale della premier non riesca, da solo, a radicarsi nei territori quando lei non c’è. Il partito più nazionale d’Italia rischia di pagare la scarsa territorialità. In Puglia, la campagna elettorale è tutta sulle spalle di un candidato civico, con la premier lontana. In Veneto, dove il voto è prima di tutto un referendum sul modello Zaia, FdI è schiacciato fra due forze complementari, ma incompatibili: da un lato, il carisma del governatore leghista; dall’altro, l’assenza di un altrettanto forte leader conosciuto di FdI.

Il sistema politico nel Nordest

Nel Nordest, la politica è mestiere di prossimità: si vince con i sindaci, frequentando le aziende, risolvendo i problemi. La Lega di Alberto Stefani non è più quella di un tempo, ma conserva l’infrastruttura: la rete amministrativa, la filiera locale, il reticolo civico. Il capolista Zaia è un sistema politico. E quel sistema continua a funzionare. Fratelli d’Italia, invece, appare ancora un partito “in trasferta” nel Nordest. Ha il vento nazionale, ma ha corte gambe locali. Senza il volto e la voce della premier a presidiare il territorio, il partito perde tono, volume, riconoscibilità. In Puglia succede lo stesso, ma in scala inversa: il centrosinistra ha un candidato identitario, Decaro, che da sindaco ha costruito una reputazione civica più che partitica. È la stessa dinamica che nel Veneto premia la Lega e nel Sud premia il Pd: quando la leadership nazionale arretra, si riafferma la regola del radicamento. Per Giorgia Meloni è un segnale d’allarme politico e strategico. Il consenso personale non basta a tenere insieme il Paese nella dimensione amministrativa. Il Carroccio anche se non brilla più come ai tempi d’oro, vive di quella geografia del consenso costruita metro per metro. In Veneto, la Lega resiste perché è percepita come parte del paesaggio: la politica che abita il territorio. FdI constata che si guida il Paese da Palazzo Chigi, ma per vincere una Regione serve conoscere la piazza e il municipio.

I destini opposti

Così, tra Bari e Venezia, si disegna un’Italia in cui si evidenziano due destini opposti: al Nord la Lega potrebbe conservare il primato grazie a un radicamento che resiste; al Sud il Pd e le sue reti civiche trionfano grazie a un capitale di fiducia costruito nel tempo. E Meloni? La sua forza resta alta, ma il test delle regionali dice che potrebbe non essere infinita. Senza la sua presenza diretta il partito rallenta, l’elettorato si disperde, l’effetto identitario evapora. Il governo resta solido, ma la mappa del consenso si muove: dove la premier si vede poco, altri riempiono lo spazio. È la vecchia legge della politica, che nessuna rivoluzione mediatica ha mai cancellato: il carisma conta, ma il territorio decide.


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