L'identità: Storie, volti e voci al femminile Poltrone Rosse



Attualità

Sulla tomba di Bruno “lo zio morto nel lager trovato dopo 80 anni”

di Ivano Tolettini -


Ci sono storie di guerra che sanguinano ancora nel vissuto delle famiglie e che attendono ottant’anni per trovare una fine, o forse un nuovo inizio. Quella di Bruno Arcole, soldato del 4° Reggimento Artiglieria Contraerea, nato il 15 agosto 1920 a Soave, è una di queste. È una vicenda che attraversa il Novecento come una cicatrice: dalla pianura veronese all’esilio operaio in Francia, fino ai campi di prigionia tedeschi e al silenzio di una tomba ritrovata solo di recente. Appunto, ottant’anni e passa dopo che Bruno morì di stenti e malattia come molte altre decine di migliaia di soldati italiani. Negli anni Venti la famiglia Arcole, come tante, cercò fortuna all’estero e si stabilì a Venizel, nel nord della Francia. Bruno aveva ventun anni quando, nel marzo del 1942, rispose alla chiamata alle armi del Distretto militare di Verona. Il secondo conflitto mondiale era nel suo pieno vortice, e lui venne mandato sul fronte greco-albanese, tra montagne aspre e linee che si spostavano al ritmo dell’assurdo.

LA PRIGIONIA

L’8 settembre 1943, con l’annuncio dell’Armistizio, il destino cambiò forma: da soldato Bruno divenne prigioniero delle truppe tedesche, Internato militare italiano (Imi), come Kriegsgefangener nello Stalag XII F di Forbach, poi a Freinsheim. Gli assegnarono il numero di matricola 20764. Da quella gabbia di ferro e neve scrisse ancora per qualche mese, ma dal 18 agosto 1944 le lettere smisero di arrivare. Il Ministero della Difesa lo dichiarò disperso. In realtà, Bruno era ancora vivo. Ammalato, stremato, morì il 25 febbraio 1945, poche settimane prima che la guerra finisse. Venne sepolto nel cimitero del campo di Aulenbach, oggi un villaggio abbandonato nella Renania-Palatinato. La sua tomba era la numero 9. Nessuno in famiglia lo seppe. Per decenni il suo nome restò sospeso, uno dei tanti “dispersi” nell’immensità del disastro europeo. Negli anni Cinquanta il Commissariato generale per le onoranze ai caduti in guerra avviò ricerche sistematiche in Germania. Il nome di Bruno riemerse tra le carte, e le sue spoglie furono traslate nel Cimitero militare italiano d’onore di Francoforte sul Meno, riquadro H, fila 2, tomba 20. Negli anni Sessanta gli venne conferita la Croce al Merito di Guerra, come mostra il documento ufficiale con la nota “decaduto in Germania”. Ma nessuno dei suoi cari seppe dove pregare.

La storia riprende voce nel 2019

Solo nel 2019, grazie al lavoro del ricercatore Roberto Zamboni e al portale da lui realizzato “Dimenticati di Stato”, la storia ha ripreso voce. “Lo scopo di questo sito – ricordato Zamboni – è quello di far conoscere la tragedia che colpì un mio parente e molti suoi compagni di sventura, deportati, vessati e uccisi nei campi di concentramento nazisti. Molti di questi finirono nell’oblio, a causa di un comportamento assurdo da parte dello Stato italiano che non informò le famiglie su dove fossero sepolti i loro cari”. In questo caso una mail, partita dalla Francia, rompeva il silenzio: “Buongiorno, grazie al Suo sito ho trovato il luogo di sepoltura di mio zio Bruno, dopo 75 anni di ricerche. Mio padre e mia nonna lo hanno cercato tutta la vita”. Maggy Triqueneaux Arcole. Maggy è la nipote di Ginevra, la sorella di Bruno. Da bambina cresceva sotto il suo sguardo malinconico, tra le fotografie in bianco e nero che ritraevano un giovane soldato dal sorriso gentile.

La ricerca inutile

Mia nonna – ha scritto Maggy – pensava che suo fratello fosse tornato amnesico. Ha scritto ai giornali, alle radio, al consolato italiano di Parigi. Non ha mai smesso di cercarlo”. Il 25 ottobre 2025, ottant’anni dopo la sua morte, la famiglia Arcole è finalmente arrivata a Francoforte. Maggy, suo marito e la figlia sedicenne hanno raggiunto il Friedhof Westhausen, il grande cimitero dove riposano oltre 4.800 italiani caduti in Germania. La tomba di Bruno, semplice e bianca, portava inciso il suo nome. “Mia figlia è corsa avanti – ha raccontato Maggy – ed è stata lei a trovare per prima la tomba. Ho pianto molto. Era un appuntamento che la nostra famiglia aspettava da ottant’anni.” Sul marmo hanno deposto una fotografia, alcuni rami d’ulivo e la terra del piccolo paese francese dove Bruno aveva vissuto da bambino. Hanno scelto di lasciarlo lì, in Germania, “perché lo Stato italiano mantiene eternamente questo luogo tranquillo”, ha scritto Maggy. “Bruno sa che l’abbiamo ritrovato. Torneremo a trovarlo.” Quel giorno, in silenzio, una generazione ha chiuso un cerchio. La guerra, che aveva spezzato famiglie e cancellato identità, ha restituito almeno una certezza: un nome, una tomba, un punto dove il dolore può farsi preghiera.
Un cugino militare – ha sottolineato Maggy – mi ha detto il motto dell’associazione del ricordo francese: «A noi il ricordo, a loro l’immortalità». È esattamente quello che penso.” Nell’epoca della memoria breve, la vicenda di Bruno Arcole è un atto di fedeltà. È la storia di chi non ha mai smesso di cercare, e di chi, ottant’anni dopo, ha trovato la pace su una lapide lontana, in una lingua straniera, ma nel cuore dell’Italia migliore: quella che non dimentica i suoi figli morti per tenere fede al giuramento.


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