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Nel Dna di donne e minori le “cicatrici” della violenza subita o cui hanno assistito

In campo un progetto dell'Istituto superiore della Sanità che studia le tracce "epigenetiche" della violenza

di Angelo Vitale -


Nel Dna di donne e minori le “cicatrici” della violenza di genere subita o cui hanno assistito. Oltre metà delle donne che hanno subito violenza sviluppa un disturbo da stress post-traumatico anche a distanza di anni. Un quarto presenta sintomi depressivi. Un terzo rischia di subire nuove aggressioni.

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Sono i primi risultati del progetto di ricerca EpiWe, coordinato dall’Istituto superiore di sanità e finanziato dal ministero della Salute. Lo studio indaga come la violenza modifichi l’attività dei geni e incida sulla salute psico-fisica.

Dopo la violenza, le tracce nel Dna

Le analisi partono dai dati e dai campioni di sangue di 100 donne, di cui 76 vittime di violenza. Le altre partecipanti formano il gruppo di controllo. Le ricercatrici hanno utilizzato EpiWeat, un questionario elettronico sviluppato dall’Iss in cinque lingue per favorire la partecipazione di donne straniere. Le risposte verranno integrate con analisi dei campioni biologici per individuare possibili “cicatrici epigenetiche”, cioè modificazioni che non cambiano la sequenza del Dna, ma influenzano la funzione dei geni.

Il progetto è attivo in Lazio, Lombardia, Campania, Puglia e Liguria. In queste regioni le donne possono ancora aderire e donare un campione di sangue.

Dai primi dati emerge un quadro critico: il 27% delle partecipanti ha una diagnosi di disturbo da stress post-traumatico, il 28,4% soffre di disturbo da stress post-traumatico complesso, il 23% mostra sintomi di depressione. Il 32% rischia di subire nuovamente violenza.

Più della metà ha almeno un diploma e il 34% un lavoro stabile. L’82% è italiana. Nel 97% dei casi l’aggressore è un uomo, nel 71% un partner o un ex partner. Nel 90% dei casi la violenza è ripetuta e può essere fisica, sessuale, psicologica o economica.

“La violenza domestica lascia tracce epigenetiche che modificano l’espressione dei geni, cioè la loro attività, senza alterare la sequenza del Dna”, spiega Simona Gaudi, responsabile del progetto per l’Iss. “Studiare queste modificazioni potrebbe permetterci di predire gli effetti a lungo termine della violenza e sviluppare interventi preventivi personalizzati prima che insorgano patologie croniche”.

EpiChild, uno strumento dedicato ai minori

Da EpiWe è nato un secondo strumento digitale, EpiChild, dedicato a bambini e adolescenti. Al momento, somministrato a 26 minori tra 7 e 17 anni, selezionati in Puglia nell’ambito dello studio Esmiva. Tra loro, anche otto “orfani speciali”, con la madre uccisa e il padre deceduto o detenuto.

Quasi l’80% dei minori ha vissuto come traumatico l’aver assistito a violenze fisiche in casa. Sono già emersi diversi casi di disturbo da stress post-traumatico complesso e depressione severa. Nel 42,3% dei casi i genitori sono separati o divorziati. Nel 92,3% l’aggressore è il padre.

“I risultati confermano l’urgenza di: screening sistematici nelle strutture sanitarie e nei servizi sociali; interventi multidisciplinari integrati tra sanità, scuola e servizi sociali; protocolli di prevenzione personalizzati basati su evidenze scientifiche; monitoraggio longitudinale”, conclude Gaudi. Lo studio continuerà con follow-up periodici per valutare l’evoluzione dei sintomi e costruire una base dati utile alle ricerche sul trauma transgenerazionale.


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