Ponte sullo Stretto: il Paese sospeso mentre crescono le trincee
La Corte dei Conti contesta due direttive UE sul Ponte dello Stretto. Salvini rassicura, Bobbio attacca duramente. Analisi dello scontro istituzionale
Le obiezioni della Corte e la risposta misurata del Governo
Il progetto del Ponte sullo Stretto torna nell’occhio del ciclone. La Corte dei Conti segnala la violazione di due direttive europee, un rilievo tecnico che però pesa politicamente come un altolà.
Matteo Salvini sceglie la linea della calma operativa, quella che punta a rassicurare più che a incendiare:
“Il Ponte sullo Stretto è un’opera che gli italiani aspettano da decenni, moderna, sostenibile e sicura. La Corte dei Conti ha fatto alcuni rilievi: ci prenderemo qualche mese in più, ma li supereremo rispondendo punto su punto, insieme a tecnici, avvocati e decine di professori, per dare agli italiani ciò che meritano. Il mio obiettivo è fare, non polemizzare: i miei pensieri me li tengo per me.”
Un tentativo di mettere distanza dalla polemica mentre si tiene stretto il timone dell’infrastruttura-simbolo del Governo.
L’affondo di Bobbio e la miccia dello scontro istituzionale
La quiete apparente viene spazzata via da Luigi Bobbio, magistrato ed ex senatore, che rompe ogni filtro istituzionale con un j’accuse frontale:
“Quello che la Corte dei conti sta facendo per ostacolare il Governo nella realizzazione del ponte sullo stretto di Messina ha dell’incredibile. Il diniego del parere favorevole si fonda su due risibili, marginali e ridicole normette europee che in nulla attengono a quella che sarebbe la sola, vera competenza della magistratura contabile, ossia la verifica della regolarità contabile del progetto. È quindi palese che la Corte si sta muovendo in una logica politica che le dovrebbe essere estranea. Del resto, non è assolutamente concepibile che una scelta pienamente e legittimamente politica, quella di realizzare una infrastruttura di eccezionale importanza per la nazione e per il suo meridione, possa essere avversata, addirittura impedita, da un organo di giustizia.
Ma questo ormai, è il malcostume costituzionale che strangola la nazione da decenni: le magistrature italiane si muovono e si determinano in una illegittima logica pienamente politica, di concorrenza e di contrasto con l’azione legittima sul piano costituzionale del governo e del Parlamento. Nella vicenda del ponte, peraltro, la posizione assunta dalla Corte dei conti non rileva tanto in sé quanto sul piano della minaccia per il futuro di aggredire il governo sul piano della responsabilità contabile una volta che il ponte, fregandosene il governo stesso di questo parere contrario, sia stato comunque realizzato. Ah, guarda caso, l’accanimento della Corte si è cominciato a delineare in contemporanea con il lavoro di revisione normativa della stessa Corte dei conti da parte di questo Governo.”
Così il Ponte smette di essere un dibattito tecnico e diventa un campo di tensione tra poteri, l’ennesimo capitolo di quel conflitto sotterraneo che periodicamente riaffiora e incendia il dibattito pubblico.
L’Italia che rimane sospesa
Il Ponte sullo Stretto avrebbe dovuto unire due sponde. Sta invece separando due visioni del potere: quella che reclama primato politico e quella che rivendica vigilanza tecnica.
E mentre le istituzioni si fronteggiano tra pareri, accuse e promesse, resta il Paese reale: quello che aspetta un’infrastruttura che non ha mai visto neanche in forma di cantiere.
Alla fine, lo scontro sul Ponte dice più dell’Italia che dell’opera. Ogni volta che si tenta di costruire qualcosa, c’è sempre un pezzo di Stato pronto a erigere un muro. E così il Paese resta lì, sospeso: senza ponte, con molte trincee.
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