Cultura & Spettacolo

Cosa avvenne quella notte

di Nicola Santini -


Quando mi parlano troppo bene di una serie, mi capita di non volerla vedere. O di metterci un po’, come se il mio metabolismo lento, dovesse digerire prima l’ondata di entusiasmo dei piùper prendersi del tempo.
Allora, vuoi che questi giorni al cinema non trovavo nulla che non avessi già visto, vuoi che di alcune serie non mi sono particolarmente entusiasmato, eccomi a guardare “The Night Of” che da tempo stava lì in una gestazione pachidermica nel mio elenco di preferiti.
Una serie che mi sono ingoiato in due tranche da più di quattro ore ciascuna. creata da Steven Zaillian e Richard Price, che parla di un tal Nasir Khan, un ragazzo americano di origini Pakistane, implicato nell’omicidio di una ragazza. Khan una sera, prende di nascosto il Taxi del padre per dirigersi ad un party esclusivo a Manhattan, non ha la più pallida idea di quello che di lì a poco sarebbe successo.
In sosta, ma con il Taxi in funzione, Naz vede salire in auto Andrea e ne resta fulminato. La trasporta in vari luoghi fino a casa di lei e, come ci si aspetta, i due trascorrono la notte assieme fino a quando, alle prime ore del mattino, Naz si risveglia in un’altra stanza. Tornato in camera da letto a rivestirsi, scopre il cadavere di Andrea, debitamente squartato e mutilato.
Preso dall’angoscia e dalla paura, se la da a gambe, si rimette alla guida del Taxi, ma una manovra sbagliata attira l’attenzione della Polizia che per una serie di eventi associa Naz all’omicidio appena avvenuto. Il malcapitato viene fermato e, così, la sua odissea ha inizio. Iniziano con gli interrogatori. Poi con l’incontro con l’avvocato John Stone, interpretato da un divino John Turturro e si arriva ad un processo che sembra avere tutte le prove contro di lui.
La storia poteva essere uno dei tanti episodi di Law and Order SVU, ma The Night Of racconta precisione il viaggio intimo e distruttivo di questo giovane che se la fa sotto vedendo ribaltarsi la sua vita e di quelli che gli sono vicino, a partire dalla sua famiglia, banalmente già a sufficienza provata dal dover pensare di sostenere i costi di un processo dove tutto sembra dire che lui sia colpevole. Il tutto con quel senso cupo, raccontato visivamente in modo magistrale, che evidenzia il pregiudizio e il malcontento discriminatorio nei confronti della sua comunità e della sua etnìa, proprio nel suo quartiere, ossia nel luogo dove pensava di poter essere al sicuro.
L’obiettivo a breve termine è sopravvivere alla ferocia dell’ambiente del carcere che lo prova fin dal suo ingresso. Impreparato a un tale cambio di registro emotivo, è da sottolineare con quanta bravura il profilo psicologico viene descritto allo spettatore, che lo vede alle prese con il momento più difficile, e con un carattere di base timido e maldestro, che sufficientemente intelligente (lo si capisce dopo un po’) da comprendere che l’unico modo per non lasciarci le penne è fare lo stesso gioco dei suoi carnefici.
Rispetto a tutte quelle serie piagnone dove razzismo e discriminazione, tematiche sempre attuali e sempre malamente cavalcate, The Night of, riesce a portasre la prospettiva in modo tale che è naturale l’empatia nei confronti del protagonista.
La lotta alla sopravvivenza fisica e psicologica di Naz è ulteriormente messa a dura prova da un processo sfiancante ed infinito. Tali e tante sono le pedine messe in gioco: da un lato troviamo l’imputato difeso prima da John Stone e poi dalla giovane avvocatessa Chandra Kapoor dall’altro troviamo l’accusa portata avanti dall’avvocatessa veterana Helen Weiss personaggi di grandissimo impatto psicologico.
Interessante la figura e l’interpretazione del detective Dennis Box (inscenato da Bill Camp), ormai prossimo alla pensione, che se lo ritrova (o glielo rifilano) come il suo ultimo caso, uuno di quei casi che rischiano, se va male, di sputtanarti la carriera proprio quando stai per appendere il cappello al chiodo.
La serie è complessa, ma chiaramente delineata e questo mi piace perché non ci sono momemti in cui ci si perde dietro alla fuffa creata per allungare il brodo. Le indagini del caso si incastrano perfettamente con le vicende che seguono i personaggi, descrivendo molto bene ogni singolo profilo. Lo spirito della serie è dolceamaro. Senza che spoileri come va a finire, c’è di bello che nonostante un finale inteso, non si rischia il diabete. Quel che è rotto, anche se ricomposto, resta rotto.

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