L’AVVENIRE DI NANNI MORETTI
Il sol dell’avvenire, scritto con la pennellessa a caratteri cubitali (rossi, ovviamente) sugli argini del Tevere, come si vede all’inizio del film è il titolo della 14esima pellicola di Nanni Moretti. Dopo il passo falso di Tre piani – un film non riuscito, con Moretti-attore fuori fuoco quasi straniato e straniante – il regista torna alla grande con un’opera da ascrivere tra le sue migliori. Una dichiarazione d’amore al cinema in una pellicola meta-cinematografica che ruota attorno a Giovanni (Nanni Moretti). Niente più alter ego di Michele Apicella, ma proprio lui: Giovanni, messo in scena da Nanni. Sono quattro film in uno: il principale, che racconta di Giovanni, che gira un film sulla rivolta ungherese del 1956. In parallelo, però, il protagonista racconta di voler girare un altro film – una storia d’amore con sole canzoni italiane – di cui si vedono alcuni spezzoni e medita di girarne un terzo su un tale, sempre lui, che attraversa Roma nuotando di piscina in piscina. E lo dice al suo staff mentre sta nuotando (Palombella rossa).
Nanni elevato alla Nanni potenza, insomma. Un film auto-biografico, pieno di rimandi e citazioni alla filmografia di Moretti, alle sue paranoie e fissazioni. Un film che mostra come nasce un film e che è una profonda riflessione sul cinema oggi, sulle nostre produzioni d’autore in un contesto dove Netflix vuole dettare regole standardizzate a livello globale. Un film su come un quasi 70enne è ancora coerente con il suo mondo, i suoi riferimenti socio-culturali, la sua fede politica, in un’epoca di grandi, profondi e rapidi cambiamenti. Un film che fa anche ridere (ci voleva!) e che affronta temi anche impegnativi con la leggerezza di un musical, con canzoni cantate guardando in macchina e coreografie che nascono spontanee sul set mentre si sta lavorando al film sulla rivolta di Budapest.
Questa la trama. Giovanni, regista italiano che fa film ogni cinque anni ma vorrebbe farne di più, ha una moglie produttrice, Paola (Margherita Buy), in analisi per trovare il coraggio di lasciarlo, una figlia che gli compone le colonne sonore che si mette con un signore molto, molto più grande di lei, un produttore francese (Mathieu Amalric) pazzo e visionario, sull’orlo del fallimento. Come il protagonista del film che sta girando, Ennio (Silvio Orlando), giornalista dell’Unità e segretario della sezione del Pci del Quarticciolo, che ha invitato un circo ungherese nel suo quartiere e si ritrova a dover fare i conti con un mondo che sta cambiando e che fa vacillare le sue certezze. La moglie ha deciso di investire su un giovane regista che fa film pieni di violenza, la sua attrice principale (Barbara Bobulova) di improvvisare, di mettere l’amore in un racconto politico, citando Cassavetes e andando contro le indicazioni del regista. Giovanni gira il suo film, con le prime luci elettriche che si accendono in borgata e le sezioni comuniste in subbuglio dopo l’ingresso dei carri armati sovietici e Budapest. Fino a che non decide di riscrivere la Storia e quindi quella del suo film: il Pci italiano che appoggia gli ungheresi contro l’Urss, Stalin che sparisce dalle sezioni, L’Unità che cambia i suoi titoli. Un sogno per dare una nuova chance a quel sol dell’avvenire tramontato.
Il fil rouge è Nanni Moretti, con le sue ossessioni e le sue invettive. Come quella contro i sabot e le pantofole, citando Bianca. E quella contro la violenza che fa male al cinema e agli spettatori, con cui blocca le riprese del film prodotto dalla moglie per chiedere il parere di intellettuali sulla violenza mostrata nei film. Ma per ogni situazione c’è una canzone da ascoltare e da cantare in coro. Il tema conduttore è il ruolo della canzone, che qui rievoca il coro della tragedia greca. In mezzo c’è Giovanni che chiede alla moglie di non lasciarlo, che non è più convinto del finale del suo film, che si mette in dubbio. Regalando al suo pubblico tutto il consueto repertorio di battute caustiche, di ironia, di snobismo intellettuale. Fino a che non si arriva alla bellissima e potente sequenza finale che non stiamo a svelarvi ma che è la chiave di volta di tutta l’opera: nonostante il fallimento dell’utopia socialista, il sol dell’avvenire può ancora sorgere. Basta sognarlo tutti insieme. Nel suo film Moretti materializza i suoi sogni di un mondo migliore. Che esiste, anche se soltanto nel suo cinema. Però il messaggio è: basta piangersi addosso, ritroviamo la forza di sorridere a questo avvenire sconosciuto. Anche se non è andata come volevamo. Consigliatissimo ai morettiani della prima ora, summa perfetta per chi non conosce il regista.
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