Editoriale

HO SOGNATO SOUMAHORO

di Tommaso Cerno -


Ieri ho fatto un sogno: Aboubakar Soumahoro parlava all’Onu. E diceva così:
Cari colleghi, sono un sindacalista deputato della Repubblica Italiana di pelle nera, onorato di tenere questo discorso in un così alto consesso come le Nazioni Unite. Vengo dall’Italia dove con il voto dei cittadini sono stato eletto in Parlamento a rappresentare i diritti negati ai migranti e a chi fugge dall’Africa infuocata da guerre, regimi e fame. Una volta in Parlamento, indossando degli stivaletti plastificati che portavo nei campi dove grazie al mio sindacato dei braccianti ho costruito insieme ai media e ad alcuni intellettuali della sinistra un po’ sbrigativi nel giudicarmi, una fama e uno spazio televisivo pubblico di primo livello, il paese ha scoperto che due persone di origine africana come me, con la pelle del mio stesso colore, mia moglie e mia suocera sono finite indagate per presunti utilizzi leggeri, parecchio leggeri, di una valanga di milioni di euro che lo Stato attraverso enti e Ministeri aveva versato alla cooperativa della mia famiglia per gestire proprio gli immigrati. Anche molte persone che lavoravano con me mi hanno accusato, hanno accusato mia moglie e mia suocera, la cooperativa della famiglia di comportamenti non proprio limpidi. Tra queste accuse stipendi mai versati, case diroccate senza luce e senza acqua, minori non custoditi come si dovrebbe. Ed è per questo che oggi vengo alle nazioni unite a dirvi che l’Italia come tutti i paesi d’Europa vive un enorme problema con l’immigrazione e con la gestione dell’immigrazione come dimostra la mia stessa famiglia. È vero che non ha ancora risolto il problema degli sbarchi, ed è vero che la politica da anni utilizza questo argomento per un dibattito sterile fatto di violenza e accuse reciproche tra destra e sinistra. Tanto che sono stato scaricato pure dal mio partito, Sinistra Italiana Verdi, che mi aveva eletto. Però è anche vero che ho incontrato un paese che ha saputo dare uno spazio a persone come me, fiducia a mia moglie a mia suocera che oggi quello stesso paese mette in discussione. Ecco che io sarei dovuto venire qui, come un disco rotto, a ripetervi che l’Italia è razzista, che siamo tornati indietro di cento anni, che c’è un clima fascista e che il governo Meloni è un pericolo e che dovete ascoltare me, la mia storia e la mia esperienza per capire in quale paese gli italiani meriterebbero di vivere. È ovvio cari colleghi, che qui alle Nazioni Unite una fregnaccia del genere non ve la posso più raccontare. Perché io sono l’esempio di come in Italia il problema principale non sia il razzismo, che certamente alberga in qualche nicchia del paese così come avviene in tutto l’Occidente, che sta cambiando con il tempo ma che non è certo il luogo perfetto della democrazia compiuta. C’è un tema che mi riguarda e che riguarda tutto: l’ipocrisia. Farmi paladino degli stessi diritti che oggi gli italiani credono io calpesti. E anziché dedicarmi anima e corpo a dimostrare che hanno torto, con i fatti, vengo qui alle nazioni unite a raccontare la storia dell’orso sperando che voi mi crediate e sperando così di cancellare con un’altra balla tutte quelle che i magistrati contestano alle persone a me più vicine di avere raccontato in nome e per conto dell’ideale per il quale almeno all’inizio della mia carriera mi ero battuto con onestà. Grazie per questo invito, so che il prossimo incontro sarà a Roma, conto di esserci e di potervi aggiornare sulla vicenda della Cooperativa Karibu e delle accuse mosse nei confronti della mia famiglia di afrodiscendenti. E se così non sarà, se quelle accuse saranno confermate, penso che non ci sarò a quell’incontro perché impossibilitato a lavorare per un Paese migliore rispetto al grave problema del razzismo e al tempo stesso impossibilitato ad aiutare l’Italia a uscire dall’altro vizio che ha, quello di predicare bene e razzolare male.
Poi però mi sono svegliato e ho sentito quello che ha detto davvero.


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