Youtube e censura: il caso Robert F. Kennedy Jr
Il candidato democratico alle prossime elezioni presidenziali 2024, Robert F. Kennedy Junior, in un recente tweet, ha espresso risentimento e perplessità nei confronti delle grandi del tech e in particolare di YouTube. La piattaforma di streaming video avrebbe eliminato, per presunta violazione degli “standard della comunità”, l’intervista del giornalista Al Guard a RFK Jr. Il politico ha mosso precise accuse dal suo account: “I Twitter Files hanno dimostrato che numerose agenzie governative, agendo tramite l’FBI, dicevano a Twitter chi censurare, e Twitter eseguiva. Senza dubbio, Facebook, YouTube e gli altri hanno ricevuto richieste simili.”
Anche Guard ha usato Twitter per esprimere la propria rabbia: “Io e RFK Jr, nella nostra chiacchierata podcast, abbiamo trattato molti argomenti di interesse pubblico. Durante la sessione, RFK Jr. ha menzionato di essere stato censurato da Instagram e YouTube e ha detto che se fosse diventato presidente avrebbe incontrato i titani della tecnologia per trovare una soluzione alla pratica antiamericana della censura. Se fallissero, renderebbe proprio illegale la censura. Era un argomento che YouTube non voleva che uscisse sulla pubblica piazza?”
Youtube non è nuovo alla rimozione di contenuti del nipote di JFK: poco più di una settimana fa l’azienda ha pubblicamente ammesso di aver rimosso l’intervista di Jordan Peterson a RFK Jr (attivista no-vax) per disinformazione sui vaccini. Un portavoce di YouTube ha poi spiegato alla CNN che la piattaforma aveva rimosso quel video dal canale di Peterson per via di “contenuti che affermano che i vaccini causano effetti collaterali cronici, al di fuori dei rari effetti collaterali riconosciuti dalle autorità sanitarie”. La piattaforma ha iniziato a reprimere ampiamente la disinformazione sui vaccini nel 2021, a seguito di una precedente politica che impediva affermazioni false o fuorvianti su Covid-19. Sebbene Youtube non abbia dato l’ok, quel video rimane comunque disponibile su Twitter, mostrando così l’approccio frammentato di Internet alla disinformazione (e all’informazione) sui vaccini. Allo stesso modo, l’intervista di Al Guard al candidato democratico rimossa dalla company è tuttora fruibile su Spotify e Rumble.
YouTube attualmente impedisce – e continuerà a impedire – la pubblicazione di video errati e dunque fuorvianti sulle modalità per andare a votare. Ha recentemente stabilito che non rimuoverà più i contenuti secondo cui le elezioni del 2020 sono state rubate. La piattaforma video ha affermato in un post sul blog di aver rimosso, in passato, “decine di migliaia” di video che mettevano in discussione le elezioni. Ora, come ha dichiarato pubblicamente, smetterà di rimuovere “contenuti che avanzano false affermazioni secondo cui frodi, errori o problemi tecnici diffusi si sono verificati nel 2020 e in altre precedenti elezioni presidenziali statunitensi”. “Nel panorama attuale, scopriamo che mentre la rimozione di questo contenuto frena alcune informazioni errate, potrebbe anche avere l’effetto non intenzionale di limitare il discorso politico senza ridurre in modo significativo il rischio di violenza o altri danni nel mondo reale”. La realtà è composita e non sanno neanche loro in che direzione muoversi. Come vanno intese queste piattaforme: come outlet mediatici privati ( e quindi liberi di decidere a cosa dare accesso e a cosa no), o come risorse pubbliche (e dunque auspicabilmente imparziali) di informazione e contenuti?!
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