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Nuovi veleni alla Caffaro: chiesti 6 mesi per Todisco

di Ivano Tolettini -


Nuovi veleni alla Caffaro: chiesti 6 mesi per Todisco

Non tutte le ciambelle imprenditoriali riescono con la chiusura del cerchio del profitto come a Bussi sul Tirino ed a Cagliari, dove l’industriale della chimica di base Antonio Donato Todisco grazie a ottime relazioni, anche nel mondo della politica, è riuscito a diventare proprietario degli stabilimenti ex Solvay ed ex Eni con un esborso di denaro vantaggioso – vista la dimensione e quanto sono strategici gli stabilimenti nella produzione nazionale del cloro-soda – ed a realizzare importanti guadagni considerando che è diventato il numero uno del settore.

Tenuto conto anche dei lauti contratti collegati a queste acquisizioni che, come nel caso di Bussi sul Tirino, garantisce la possibilità di avere energia elettrica a un quinto del prezzo di mercato tramite alcune concessioni. Sì, perché da Brescia arrivano altre spine giudiziarie per il 66enne self made man di origine milanese ma cresciuto in Toscana, visto che nei giorni scorsi la Procura ha chiesto la sua condanna in merito al mancato smaltimento di una dozzina di trasformatori che contenevano una elevata concentrazione di Pcb (policlorobifenili). A Brescia infatti Todisco è atteso tra meno di due settimane dalla prosecuzione dell’udienza preliminare per il presunto disastro colposo della Caffaro Brescia srl. Fu peraltro la prima “acquisizione” di peso nel 2011 che gli consentì di irrompere sul panorama nazionale come imprenditore ancora di maggior peso, visto che fino ad allora il perimetro dei suoi interessi era più circoscritto.

Veleni Caffaro: le richieste del pm per Todisco

Il pubblico ministero Carlo Pappalardo al termine al terminje della discussione ha chiesto la condanna a sei mesi di reclusione ciascuno oltre che di Todisco, ritenuto il co-amministratore di fatto della Caffaro Brescia srl, anche del suo braccio destro Alessandro Quadrelli, l’amministratore legale e presidente della società, e del direttore generale Alessandro Francesconi e di stabilimento Vitantonio Balacco, Inoltre, anche l’azienda è chiamata in causa per la responsabilità amministrativa degli enti ed è stata chiesta una sanzione di 38 mila euro. Ma perché la Caffaro avrebbe smaltito soltanto due dei quattordici trasformatori al Pcb? Semplice, per risparmiare sui costi e perché in questa maniera – anche se in questo processo è contestato l’articolo 256 del Testo unico ambientale -, com’è emerso nell’altro dibattimento, si sarebbero “procrastinati più volte gli interventi sollecitati dalle autorità di controllo e del ministero dell’Ambiente. Tra l’altro i difensori degli ex vertici della Caffaro Brescia poiché la società oggi è in liquidazione, hanno replicato che sarebbe stato impossibile eseguire i lavori di bonifica sollecitati all’atto della presa in carico dello stabilimento perché altrimenti si sarebbe compromesso il ciclo produttivo e il sistema di controllo delle acque di falda.

Caffaro: fonte di un disastro ambientale

Tuttavia, non va scordato che quando all’inizio del 2021 venne sequestrato lo stabilimento e il Procuratore capo Francesco Prete parlò “di un carcinoma nel centro della città”, emerse che l’azienda di Todisco avrebbe aggravato l’inquinamento tanto che gli è contestato il disastro ambientale. Il gip sequestro all’azienda 7 milioni di euro che sono serviti per i lavori della messa in sicurezza della barriera idraulica e a fine luglio il gup dovrà pronunciarsi sulle dieci richieste di rinvio a giudizio a vario titolo. Todisco risponde anche di falso in bilancio. Quel che preoccupa anche l’amministrazione comunale è che la Procura ha acceso potenti fari, tramite i tecnici dell’Arpa, su tre fenomeni di inquinamento interconnessi che coinvolgono il suolo, il sottosuolo e la falda acquifera. Questo, ad avviso dei pm Silvio Bonfigli e Donato Greco, è dipeso dal fatto che il ciclo produttivo della Caffaro è stata fonte primaria del disastro ambientale che insiste su una vasta area del cuore di Brescia, in spregio degli accordi assunti da Todisco al momento di rilevare il ramo d’azienda della Caffaro dal commissario. “I carotaggi eseguiti durante le indagini – scrivono gli inquirenti – hanno confermato il rapporto tra l’innalzamento dei valori di cromo esavalente nella falda acquifera e l’esercizio dell’attività produttiva della Caffro Brescia, contaminate da cromo esavalente con valori di concentrazione di gran lunga superiori (10-15 volte) ai limiti di legge. In questo contesto, come spiega Patrizia Moneghini, segretaria regionale di Filctem-Cgil, “l’imprenditore Antonio Donato Todisco ha licenziato i lavoratori che sovraintendevano alla salvaguardia del sito dopo avere incassato lauti profitti”.
(3^puntata)


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