L’esercito dei precari della scuola e la formazione che nega il progresso
di RAFFAELE BONANNI
Dopo il Covid come succede dalla prima storia dell’uomo i traumi cambiano abitudini consolidate e nuove culture sopravanzano le vecchie energie alla ruota della storia che presto si lascia alle spalle i comportamenti peggiori per fare posto alla modernità. Sembrava scontato che il ricorso alle tecnologie digitali nelle nostre varie attività umane fosse dato per scontato, ma nel Bel Paese, si sa, l’imprevedibile è sempre pronto a smentirci.
Lo si capisce dalla corrente d’aria proveniente dal Ministero della Università che soffia sulle Commissioni affari costituzionali e lavoro impegnate a valutare i possibili miglioramenti al DL PA bis. Infatti l’art. 20 prevede una serie di disposizioni in materia di reclutamento del personale scolastico e di sistemi di accelerazione dei concorsi sostenuti dal PNRR per migliorare il sistema italiana con gli obiettivi della positiva e celere abilitazione. Ma sotto sotto, in alcuni ambienti dell’impiego pubblico, ripropongono il tentativo antistorico di tenere in piedi modelli formativi obsoleti, segnando ancor più la distanza con i sistemi moderni di formazione affermatisi definitivamente con la emergenza pandemica nel pieno della rivoluzione digitale.
La dura prova del Covid, pur limitante, ci ha permesso però di ottenere sul campo sperimentazioni di efficienza, risparmio di tempo e di denaro, produttività garantita dal digitale, soprattutto nei sistemi dell’apprendimento. Le persone adulte che abbisognano di acquisire nuove conoscenze professionali, sappiamo che sopportano grandi disagi nel conciliare famiglia, lavoro, formazione, e dunque ricevono soccorso se si dovessero semplificare i modi per raggiungere i loro obiettivi grazie, ai mezzi messi a disposizione dalla modernità e con minori costi. Insomma diventa una grande occasione, ma non a scapito della qualità dell’apprendimento. Anzi si raggiungono risultati elevati più facilmente come già capitato al lavoro agile che tra mille diffidenze, a conti fatti ha innalzato la produttività, la trasparenza nei carichi di lavoro affidati, ed ogni altro indice di costi e benefici e della qualità della vita. Ma allora perché tanta avversione?
Credo che dietro le resistenze al cambiamento non ci sono motivazioni legate alla ricerca del buon risultato per l’acquisizione di abilità professionali come si vuol far credere, ma semplicemente il prevalere di strutture di potere e di piccolo cabotaggio delle corporazioni con i loro sistemi e sottosistemi che da anni aggravano ancor più i nostri problemi anziché risolverli. Prendiamo ad esempio l’annosa storia dell’esercito dei precari che orbita intorno alle istituzioni scolastiche con paghe da fame, malumori e disorganizzazioni gravi che ricadono sugli studenti. Essi sono in 50-60 mila, e se dovessero partecipare a corsi organizzati con modalità del passato, saranno costretti a passare per strettoie da cui non ne verrebbero fuori neanche nel 2033. Sindacati e forze politiche questo lo sanno.
Si parla sempre di loro a proposito e sproposito, ma poi alla fine contano più le corporazioni che i loro interessi e quelli degli studenti. Ed allora stavolta si cambi verso e si usi l’online senza lacci e lacciuoli pretestuosi, e sicuramente potremo apprezzarne la differenza. Le strutture e sovrastrutture attuali, appesantite da ritardi e da piombi corporativi, non potrebbero che avvantaggiarsene anch’esse. Riuscirebbero finalmente a cambiare non sprofondando con il rischio di strascinarsi dietro anche i gangli vitali del nostro sistema educativo.
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