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Parla il sinologo Maringiò: “Ecco perché l’Europa guadagna più con la Cina”

di Adolfo Spezzaferro -


“Il governo italiano non ha una visione prospettica e sbaglia a seguire Biden sul terreno della iperpoliticizzazione del confronto con la Cina”. Ne è convinto Francesco Maringiò, presidente dell’Associazione italo-cinese per la promozione della Nuova Via della Seta, che fa il punto dopo la visita della Meloni a Washington. “Biden da quando si è insediato ha iper politicizzato ogni dossier della politica internazionale. Prima introducendo questa falsa dicotomia democrazie verso autocrazie, poi introducendo un livello politico in ogni dossier. E il governo italiano ha sbagliato a seguire l’amministrazione Usa”.
Per quale ragione?
Perché adesso il governo italiano si trova nella difficoltà di non riuscire a gestire i rapporti. Perché da un lato la Meloni, prima ancora di diventare premier, ha fatto tutta una serie di mosse per ingraziarsi in qualche modo la Casa Bianca, come le dichiarazioni appunto contro il Memorandum sulla Via della Seta così come l’incontro con il sedicente ambasciatore di Taiwan. Adesso è in difficoltà perché sapeva benissimo che se avesse annunciato dalla Casa Bianca lo stralcio del Memorandum il nostro governo sarebbe apparso completamente subalterno alle richieste degli Stati Uniti. Quindi la premier sta pagando il prezzo dell’aver seguito Biden sul terreno della politicizzazione del confronto con la Cina e con gli altri Paesi emergenti.
Il ministro degli Esteri Tajani dice che così com’è il Memorandum non è particolarmente vantaggioso per l’Italia tuttavia la Cina è un partner commerciale importante…
Qui c’è un elemento strano, se vogliamo: tutte le dichiarazioni ufficiali di tutti gli esponenti del governo fino ad adesso sono state sempre tali da non portare mai a uno strappo. “Stiamo valutando”, “Decideremo”. Mentre poi escono sui giornali le ricostruzioni che dicono che ormai tutto è stato deciso. In realtà ci sono delle divergenze. Sia nel governo italiano che nel rapporto con gli Stati Uniti. E da questa dialettica vengono fuori queste dichiarazioni. In merito alle parole di Tajani, non è corretto metterla così: sono usciti i dati Istat sull’export italiano, che si riduce del 3,3 per cento. Ma dentro questa riduzione complessiva c’è una crescita verso i Paesi extraeuropei e tra questi c’è ancora una volta e consecutivamente una crescita del 15% dell’export verso la Cina. Mentre per esempio c’è una contrazione del 5,8% rispetto agli Usa.
Quindi?
La verità è che da quando abbiamo firmato il Memorandum, al di là della sfortuna che subito dopo è arrivata la pandemia, l’export con la Cina è cresciuto significativamente rispetto al passato. E da parte americana c’è una tendenza di mercato instabile. Anche queste presunte contropartite per lo stralcio del Memorandum di cui leggiamo sui giornali, come una piccola fetta nella ricostruzione dell’Ucraina, francamente non bilanciano i dati dell’export con la Cina.
Ma se dovessimo tirare troppo la corda, la Cina potrebbe sostituirci con un altro Paese in questo progetto?
La Nuova Via della Seta è un’iniziativa, quindi alla fine c’è una grossa parte giocata dalla Cina ma anche una parte ingente giocata dai singoli Paesi, ognuno in modo diverso. Anche quelli che ufficialmente non hanno aderito, come per esempio la Germania. Il rischio vero per noi è che accada quello che è successo concretamente a Taranto.
Ci spieghi meglio.
A Taranto per anni i cinesi ben prima del progetto della Via della Seta hanno cercato di investire, perché è chiaro che l’Italia ha una posizione avvantaggiata nel Mediterraneo. Ma le nostre incertezze hanno fatto sì che siano scappati nel porto del Pireo di Atene e adesso il Pireo è diventato un hub nel Mediterraneo molto importante. Quindi più che la ritorsione cinese, rischiamo di rinunciare da soli a delle opportunità che potremmo cogliere a vantaggio dei nostri interessi. Ovviamente tutelando quelli che per noi sono gli interessi strategici come la proprietà dei porti. Avremmo potuto benissimo investire in un grande porto del Sud, o in uno dei porti del Nord, per la Via della Seta marittima, senza necessariamente regalare nulla ai cinesi. Ma anzi chiedendo investimenti strutturali in cui noi siamo carenti. In sostanza, non avevamo le idee chiare di cosa chiedere alla Cina. Come sempre ci manca un po’ una visione prospettica.
Possiamo salvare capra e cavoli, senza far arrabbiare troppo Washington?
Se si abbassa questo aspetto di iperpoliticizzazione, riportando tutto alla giusta dimensione da un lato e dall’altro, visto che siamo un Paese saldamente nella Nato ma comunque che guarda al mondo così come si sta evolvendo, così come fanno altri Paesi della Nato, a partire dalla Francia e dalla Germania fino ad arrivare all’Olanda, noi potremmo tutelare i nostri interessi sia sul versante atlantico che nei rapporti con l’Asia e con la Cina in particolare. Altrimenti dimostriamo di non avere una classe dirigente all’altezza. In proporzione, come classe dirigente abbiamo fatto un passo indietro rispetto a quando l’Italia pur nella Nato non si tagliava i ponti con l’Urss o con i Paesi arabi. La Meloni, proprio perché aveva a lungo studiato da premier, doveva evitare di tirarsi la zappa sui piedi da sola. E adesso è in difficoltà.
Questo spiega il viaggio riparatore in Cina?
Sì. Anche se a leggere i giornali la soluzione ventilata sarebbe un vero papocchio: stralciare il Memorandum e siglare un nuovo accordo. Non avrebbe alcun senso. E farebbe arrabbiare nuovamente gli Usa ma pure la Cina. Tra l’altro e qui chiudo: la Meloni sta tanto attenta a non essere tacciata di sovranismo? I veri sovranisti li stanno facendo gli americani…
In che senso?
Rispetto all’Europa, con il Chips Act, per esempio. Loro stanno attraendo investimenti e stanno investendo per aprire stabilimenti negli Usa che creeranno posti di lavoro. Cosa che non fa l’Italia. Loro si stanno tutelando e non tutelano l’Europa. Noi che siamo la seconda manifattura d’Europa non possiamo essere l’unico Paese che gioca una partita tutta politica, andando contro i nostri interessi nazionali. Come se non bastasse poi l’Italia ha annunciato che farà le prime esercitazioni aeree congiunte con il Giappone nella storia. Non solo invieremo un incrociatore nelle acque di Taiwan, ma nel momento in cui si discute di stralciare il Memorandum della Via della Seta, il governo italiano manda un così pesante segnale di inimicizia alla Cina. La strategia non può essere quella di essere più realisti del re in cambio di una probabile fetta nella ricostruzione dell’Ucraina.


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