Economia

Altro che oro rosso, + 50% l’import dalla Cina. Ma l’Anicav a Lollobrigida: No allarmismi, serve la validazione d’origine

di Angelo Vitale -


Al via la raccolta del pomodoro da salsa. E l’Italia fa subito i conti di quanto cambiamenti climatici e fenomeni estremi le siano costati e stiano tuttora costando. Rischia infatti di produrre ancora meno dei 5,6 miliardi di chilogrammi previsti per il 2023. Tutto questo mentre vale +50% l’import di concentrato di pomodoro cinese che costa la metà di quello nazionale. La rinnovata denuncia arriva da Coldiretti e Filiera Italia nella lettura dei dati del World Processing Tomato Council: la Cina, con 7,3 miliardi di chilogrammi, sorpassa nel 2023 l’Italia, che scende al terzo posto della classifica mondiale dei produttori di pomodoro da industria.

Non ci è servita, la candidatura della dieta Mediterranea e della vera cucina italiana all’ingresso tra i patrimoni culturali immateriali dell’umanità dell’Unesco. In Italia, 70mila gli ettari coltivati a pomodoro da salsa, 18mila dei quali in Puglia (l’84% nel Foggiano). L’Emilia Romagna è l’hub dell’oro rosso al Nord con 26mila ettari, oltre la metà fra Piacenza e Parma. La filiera del pomodoro impegna 7mila imprese agricole, 100 imprese di trasformazione e 10mila addetti, per un fatturato di 4,4 miliardi al 2022.

Un sistema ove il pomodoro poi viene pagato agli agricoltori fra i 15 e i 17 centesimi al chilogrammo – meno del 10% del suo prezzo finale – perché il 90,6% è il margine di distribuzione e produzione.

Su questa partita, però, c’è da sentire anche la voce dei produttori, che hanno scritto a Francesco Lollobrigida, richiamando l’attenzione su un allarmismo ricorrente che a pensarci bene danneggia la “sovranità alimentare”. Dall’Anicav, anche una precisazione: L’Italia è sì al terzo posto quale trasformatore di pomodoro dopo Usa e Cina, ma resta primo trasformatore di derivati per il consumo finale, contando il 14,8% della produzione mondiale (37,3 milioni di tonnellate) e il 56,5% del trasformato europeo.

L’Anicav, presieduta da Marco Serafini, è la più grande associazione delle imprese di trasformazione di pomodoro al mondo per aderenti e quantità di prodotto trasformato, riunendo i 3/4 delle industrie italiane che trasformano il 70% di tutto il pomodoro lavorato in Italia e la quasi totalità del pomodoro pelato intero prodotto nel mondo. Con un fatturato 2022 di 3,3 miliardi, il 75% del totale del comparto italiano di trasformazione.

E allora sentiamo cosa dice Anicav a Lollobrigida, insieme alle due organizzazioni del pomodoro da industria del Nord e del Centro Sud. Serve “maggiore attenzione del ministero”. E l’Ispettorato centrale Repressione frodi deve “validare in tempi brevi e rendere operativa la verifica della zona d’origine”. Perché “il comparto della trasformazione del pomodoro è continuamente oggetto di attacchi e di una “certa” comunicazione il più delle volte strumentale, ripetuta da anni con una precisa cadenza, che mette in discussione l’origine e la qualità dei prodotti, inducendo i consumatori a credere che non ci siano differenze tra i derivati del pomodoro”. Alla fine, la percezione è “che tutto ciò che arriva sulle nostre tavole è di dubbia origine. In realtà, in Italia le importazioni di concentrato di pomodoro provenienti da Paesi terzi avvengono in regime di Traffico di Perfezionamento Attivo o temporanea importazione, per cui il concentrato entra temporaneamente nel territorio nazionale a scopo di lavorazione e trasformazione, per poi essere riesportato verso un mercato di sbocco molto diverso da quello dei derivati prodotti in Italia da pomodoro 100% italiano”.


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