Nucleare, quel Deposito che nessuno vuole ma che converrebbe a tutti
L’Occidente torna all’atomo. Anche l’Italia, pian piano, s’incamminerà di nuovo lungo il sentiero del nucleare. Non c’è altra scelta per superare i combustibili fossili che inquinano e per ottenere energia più stabile e affidabile rispetto alla sola scelta green. O si potrebbe dire pure, senza sbagliare, che l’atomo rappresenta la strada obbligata per l’Europa, Stati Uniti e loro alleati, per smarcarsi, da un lato, dalla pressione economica e geopolitica dei Paesi produttori, non tutti propriamente allineati con l’Occidente. E, dall’altro, svincolarsi dalla Cina che ha saputo costruirsi un ruolo leader nelle tecnologie green, a partire dal controllo strategico delle materie prime.
Ma prima di ripartire, occorrerà risolvere gli ultimi problemi che restano. E che, in fondo, l’Italia si sta trascinando da trent’anni. Per questo, il ministero dell’Ambiente ha pubblicato la Carta nazionale delle aree idonee che potrebbero ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi “al fine di permettere lo stoccaggio in via definitiva” delle scorie “a bassa e media attività”. Si tratta di cinquantuno Comuni suddivisi tra nove province (Alessandria, Viterbo, Matera, Potenza, Taranto, Bari, Trapani, Oristano e Sud Sardegna) e sei Regioni (Piemonte, Lazio, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia). L’elenco è stato redatto da Sogin, la Società di gestione degli impianti nucleari, che ha raccolto gli elementi emersi in seguito alla consultazione pubblica e dal Seminario nazionale che ha seguito la pubblicazione della Cnapi, la Carta delle aree potenzialmente idonee, già approvata dall’Isin, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare”. Nonostante tutta questa trafila, sarà difficile giungere, fin da subito, a individuare dove sorgerà il Deposito. Ciò accade per un motivo semplicissimo. L’Italia, che è il Paese dei mille campanili, è fatalmente afflitta dalla sindrome Nimby. Nessuno vuole una struttura del genere dietro casa. Parlare di nucleare è difficile perché il tema è legato, fatalmente, ai grandi disastri del passato e alla somma paura che ha caratterizzato tutta la seconda parte del ‘900. A distanza di poche ora dalla pubblicazione della Carta, infatti, sono già insorte le polemiche. In (quasi) tutti i centri e le aree interessate. E quando in ballo ci sono temi forti, la politica, specialmente quella locale, preferisce soprassedere, nicchiare, o in certi casi, capeggiare con le fasce tricolori le rivolte di piazza che potrebbero montare. Alle manifestazioni, però, non ci si arriverà. I Comuni coinvolti, infatti, dovranno presentare la loro candidatura per ottenere che sul proprio territorio venga progettato e costruito il Deposito. Non lo ha fatto nessuno, né, con ogni probabilità, nessuno degli enti coinvolti cambierà idea. Perché è più facile assecondare le paure che spiegare i benefici che verrebbero alle città che abbraccerebbero il progetto. Infatti, oltre al Deposito nazionale che sarà ovviamente costruito e gestito seguendo i più alti standard di sicurezza e affidabilità possibili, il Mase ha intenzione di allestire anche un Parco tecnologico capace di fungere da centro di ricerca e di sviluppo di nuove tecnologie. Un esempio di “vera” compensazione territoriale. Che potrebbe portare lavoro (si stimano almeno 4mila posti al netto degli indotti) e un ruolo centrale non solo economico ma pure strategico. Insomma, altro che iattura: ospitare il Deposito conviene.
Per ampliare la platea dei papabili, dunque, il Mase ha deciso di aprire la partita anche ai Comuni che non sono stati citati nella Carta Sogin. Ogni territorio può avanzare la sua auto-candidatura che poi sarà vagliata dai tecnici del Ministero e della società di gestione degli impianti nucleari, per valutarne la fattibilità. E già c’è chi avrebbe interesse a farsi avanti. Non è un mistero, anzi. Si tratta del Comune di Trino Vercellese, il cui sindaco, Daniele Pane (area centrodestra), ha più volte ribadito di essere interessato a ospitare tutti i rifiuti nucleari che ancora rimangono in Italia. In questo paese di 7mila abitanti c’era una delle quattro centrali nucleari attive, chiusa nel 1987 dopo il referendum che ha paralizzato l’atomo italiano. Da allora, a Trino e nel territorio circostante, sono stati allestiti depositi temporanei. Che, come ogni cosa temporanea, in Italia, diventa permanente. Pane, intervistato da Gea, ha spiegato le ragioni della disponibilità del suo comune: “Il Deposito è necessario a tutta Italia, perché è un obbligo imposto dall’Ue; inoltre per noi che deteniamo la maggior quantità di radioattività italiana lungo il Po è indispensabile: i rifiuti vanno spostati subito da dove sono adesso”. La Regione Piemonte, però, non sarebbe d’accordo.
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