Politica

Sinistra cercasi

di Tommaso Cerno -


Senatore Boccia, la vittoria della destra porta con sé i cocci di una sinistra che non si è saputa né unire in coalizione, né rifondare sotto il simbolo del Pd con un progetto alternativo vero. Sara mica colpa della Meloni anche questo?
La realtà, però, è un po’ diversa. Il Pd ha provato a creare una coalizione che tenesse insieme tutte le forze politiche che avevano vinto le amministrative del 2021 e dello scorso giugno, alternative alla destra guidata da Giorgia Meloni, ma M5S e Terzo Polo hanno preferito tirarsi indietro per provare a crescere come liste autonome, favorendo di fatto la vittoria della destra che è maggioranza in Parlamento ma resta minoranza nel Paese.

Lei non ha mai fatto mistero di considerare il rapporto con il M5s una strada da percorrere. Però sembra che si sia interrotta.
Ne sono sempre più convinto, perché è su un’idea di società più giusta che fonda la giustizia sociale; su temi come la lotta alle diseguaglianze, la dignità del lavoro, diritti civili, ambiente, trasporti, scuola e sanità pubblica abbiamo un comune sentire che porta all’unita dei progressisti e delle sinistre di qualsiasi forma e essenza siano. Amministriamo insieme molte città importanti e alcune regioni e buttar via tutto per egoismi di breve termine è politicamente un delitto che porta sempre e solo ad un risultato: la svolta a destra. Non è stato possibile farlo alle politiche per fatti noti a tutti, bisogna avere il coraggio e l’umiltà di farlo già da domani.

Il Conte 2 fu un governo nato grazie a un’abile operazione parlamentare, tuttavia si rivelò capace di riscaldare l’elettorato di centrosinistra. Come mai alla vigilia della crisi il Pd di Letta immolò questo piccolo tesoretto a Draghi chiudendo le porte a Conte?
Aggiungerei che il Governo Conte 2 è stato un Governo di centrosinistra e fortemente meridionalista, nei fatti. Il tesoretto? È stato immolato il giorno della nascita del Governo con la Lega. Il congresso servirà a chiarire tante cose. Letta arrivò dopo le dimissioni di Zingaretti che non arrivarono per motivi misteriosi ma perché era andato in tilt il Pd, già ferito dalla scissione di Renzi. E quelle denunce di Zingaretti non potranno non essere oggetto di un confronto senza veli nel congresso, ho molto apprezzato il sui Manifesto di qualche giorno fa. A Letta bisogna dire grazie. Ha vinto le amministrative del 2021 facendo tornare a vincere il Pd in tutte le grandi città perse da Renzi nel 2016 e aveva vinto anche le amministrative del 2022 dello scorso giugno. Poi è arrivato il buio. Lo stesso della caduta del Conte 2. Ma la responsabilità non è di Letta, che va ringraziato sempre per come ha smontato la sua vita e per come si è messo a disposizione della comunità dem e dell’intero gruppo dirigente. Nessuno escluso.

Veniamo a oggi. Il Pd ha avviato la strada del congresso. Cinque mesi o giù di lì. Non le sembra che l’emergenza destra che tanto si agita dalle vostre parti e l’attivismo progressista di Conte rendano questo tempo biblico?
Il Partito democratico è un’associazione politica vera, fatta di militanti e senza proprietari. Un partito vero, strutturato, con migliaia di circoli. Ci sono confronti interni che hanno i loro tempi. In questo momento serve discutere senza veli sull’identità del Pd e sui valori e non si può sfuggire al nodo alleanze. Chi sfugge vuol mantenere alto il tasso di ambiguità. Serve una grande mobilitazione, attraverso confronti sulle idee e non si fa con una corsa forsennata verso un nuovo segretario o segretaria che non scioglie nessun nodo.

L’impressione che fa la sinistra, di fronte alla sfida della guerra e delle nuove gigantesche povertà, è quella di fare una fatica immane a parlare con i poveri. È come se fosse percepita dalle masse di un tempo come una forza traditrice. Perché?
In parte è così e questo fa male. Chi ha dedicato la vita alla costruzione di un movimento unico e unito della sinistra italiana non può che soffrirci. Ma restar fermi è ancora più colpevole. Ho avuto questa forte sensazione nel 2018, nel post Renzi, quando il Pd era stato ridotto in macerie. Poi con Zingaretti prima e Letta poi abbiamo ricostruito passo dopo passo la casa comune dalle fondamenta, dalla strada dove la sinistra è nata e risiede. Poi c’è stato il blackout della rottura del luglio scorso che ci ha fatto tornare a queste sensazioni. Ma nel Paese c’è sempre tanta voglia di sinistra; la destra, questa destra, ha vinto le elezioni, è maggioranza in Parlamento ma non nel Paese. E se fanno l’errore di sottovalutarlo finiranno presto fuori strada.

Forse mi sbaglio, tuttavia dalla sconfitta elettorale a oggi nessun mea culpa e una tombola di nomi per il dopo Letta. Bonaccini, Schlein, De Micheli… tutte bravissime persone. Ma anche Letta è una bravissima persona. Non è che state sbagliando metodo?
Il metodo è la politica di comunità. È faticosa, quando si perde lo è anche di più. Ma è l’unica cosa seria che si può fare. Lo abbiamo detto dall’inizio, parliamo di contenuti, di idee, di orizzonti futuri; i nomi verranno dopo. Tutti i candidati emersi sino ad oggi hanno storie di militanza vera e arricchiranno il confronto. I leader poi non nascono in provetta ma si costruiscono con le battaglie sul campo. Dieci anni fa nessuno avrebbe scommesso a destra su Giorgia Meloni. Ma oggi è premier. Le premiership si costruiscono con le battaglie e chi le sente ha il dovere di farle.

C’era una volta il popolo delle primarie. C’era una volta la vocazione maggioritaria. Siamo sicuri che il Pd come fu concepito esista ancora?
Il Pd, con buona pace di tutti i detrattori, c’è e ci sarà ancora. Perché la sinistra non scompare mai. E il Pd è un grande partito progressista moderno ed europeo. Il Pd appartiene a militanti, iscritti e con il prossimo congresso vorremmo che partecipassero anche gli elettori al dibattito interno. I gruppi dirigenti passano, i militanti restano ed è grazie a loro se ogni giorno si aprono le saracinesche dei circoli, se le Feste dell’Unità ogni anno accolgono migliaia di visitatori, se la presenza sui territori è così massiccia. E poi rappresentiamo il 19% che ci chiede di rappresentare un’idea chiara di Paese e non possiamo tradire la loro fiducia.

La destra sta facendo la destra. Pure con il vostro aiuto, come successo in Senato con La Russa. Per battere, arginare, superarla non sarebbe più semplice fare la sinistra senza troppi giri di parole?

In Senato, come è noto, su La Russa l’aiuto è arrivato dagli altri gruppi di opposizione, non di certo dal Partito democratico che ha votato scheda bianca come avete dimostrato voi stessi, anche arrivando all’esagerazione del controllo da Var calcistico applicato alla cabina del Senato. Siamo la sinistra e lo dimostreremo in Parlamento facendo un’opposizione netta sui temi, su ogni provvedimento che andrà contro il bene degli italiani. Anche perché chi non lo ha capito e pensa di essere ancora ambiguo, magari accelerando il congresso senza sciogliere i nodi, deve sapere che la sinistra se non la rappresenti, rinasce sulle gambe di un ragazzo o una ragazza in ogni angolo di strada attraverso una protesta per un’ingiustizia.

I diritti sono uno dei grandi temi del Pd. Però alla fine l’unica legge davvero approvata risale al governo Renzi-Alfano. Siete sicuri che il metodo della bandierina e della verità tutta da una parte sia quello giusto per sfondare il muro di gomma della destra e parlare davvero alla maggioranza del Paese? Beppino Englaro insegna che le battaglie di progresso si vincono con la fermezza ma senza mai odiare chi non la pensa come te.
Nella scorsa legislatura il Pd aveva preso il 18%, ha subito due scissioni, ci siamo ritrovati con l’11% dei parlamentari nelle due camere. Nella legislatura precedente approvammo le unioni civili perché eravamo maggioranza da soli alla Camera e potevamo decidere noi. Al Senato erano sufficienti i numeri di Alfano che non è mai stato contrario e fu corretto. In politica contano i numeri. Nella scorsa legislatura il Pd è sempre stato minoranza netta. Abbiamo provato ad approvare in Senato un testo, come il ddl Zan, che non era una bandierina ma un disegno di legge che era già stato approvato alla Camera, ma una parte di coloro che lo avevano già votato si sono tirati indietro per un vergognoso calcolo politico. Il resto è storia, come gli applausi di Pillon e di tutti i senatori che esultavano per aver negato quei diritti.

Alla fine la prima donna premier è il capo della destra più destra che mai. Come risponderà la sinistra padrona del format “pari opportunità”?
Qualunque sia il giudizio che ognuno di noi possa avere sulla Giorgia Meloni politica, è innegabile che avere per la prima volta anche in Italia una Presidente del Consiglio donna è un messaggio per tutte le generazioni e uno stimolo per le più giovani. Detto questo, il governo andrà valutato anche e soprattutto per le politiche che metteranno in campo per le donne, a partire dall’attuazione effettiva della parità salariale fortemente voluta da noi.

Che pericoli veri vede nel governo? E quali paure invece le sembrano più strumentali?
Sui diritti temo possa esserci un tentativo di riportare l’Italia verso un oscurantismo pericoloso, dai nomi e i curricula di alcuni ministri e cariche istituzionali, alle prime proposte di legge presentate in Parlamento il pericolo è serio. Ma troveranno un muro, il Partito democratico non consentirà alcun arretramento culturale. Per il resto vedremo, lasciamoli lavorare e ci confronteremo in Parlamento. Ci sono emergenze che vanno affrontate subito, dal prezzo del gas e dell’energia che sta distruggendo famiglie e imprese, al valore effettivo dei salari ridotti a causa di un’inflazione ormai a due cifre, fino alle diseguaglianze sempre più evidenti nella società.

Il presidenzialismo sarà un tema. La sinistra parteciperà al dibattito? È davvero tutta schierata per il proporzionale?
In Italia il Presidente della Repubblica è il vero garante dell’unità nazionale. E lo ha dimostrato in diversi momenti difficili della nostra storia. In Italia se un capo del governo perde l’equilibrio e alimenta lo scontro tra fazioni, come ha fatto Trump negli Usa, non può accadere che un gruppo di pazzi assalti il Parlamento come è successo lì a Capitol Hill perché il Presidente della Repubblica interviene prima che sia troppo tardi. Ecco, cosa succederebbe in Italia se vincesse le elezioni un Presidente della Repubblica che, anziché unire la Repubblica, la divide sull’altare del suo furore ideologico? Noi restiamo contrari al presidenzialismo. Discutiamo di tutto quello che può migliorare il funzionamento del nostro Parlamento fino al superamento del bicameralismo perfetto. Ma il garante dell’unità nazionale non si tocca. Intanto, visto che sulla legge elettorale siamo tutti d’accordo nel dire che è pessima, e posso dirlo con forza non avendola votata, cambiamola! Personalmente ho depositato una proposta di legge in Senato per un proporzionale con soglia di sbarramento al 5% e l’introduzione delle preferenze. Semplice, senza troppa macchinosità, dando la possibilità agli italiani di scegliere i propri rappresentanti.

La guerra. La pace. La sinistra. Non le sembra che vada ripensato meglio il percorso che dalla difesa dell’Ucraina porta a un bellicismo che ha uno sfondo di guerra mondiale? O la pensa come chi dice: c’è solo una strada.
La pace si ottiene con la pace e questo deve sempre spingerci al massimo sostegno ad ogni mobilitazione per la pace. Ma dopo otto lunghi drammatici mesi è sempre chiaro a tutti che l’aggressione di Putin a un popolo intero di uno Stato indipendente non è giustificabile in alcun modo. Quel popolo che si è trasformato in esercito, cambiando la propria vita di ogni giorno e organizzando la Resistenza. Tutti quanti vogliamo la pace e i canali diplomatici devono continuare il loro incessante lavoro, non guardando in faccia nessuno perché la pace non può essere subordinata a interessi economici ma quella sì, non si può ottenere senza difendere la libertà.


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