Salute

Aborto e consapevolezza: trend in calo

di Redazione -


Nelle scorse settimane, si è riacceso il dibattito sull’aborto farmacologico, in occasione dell’aggiornamento delle linee di indirizzo sull’interruzione volontaria di gravidanza emanato dal Ministero della Salute. Le nuove direttive, che vanno ad aggiornare una procedura ormai vecchia di dieci anni, sono passate al vaglio del Consiglio superiore di sanità (Css), che ha espresso un parere favorevole rispetto al ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza con metodo farmacologico con le seguenti modalità: non è più necessario il ricovero per assumere il mifepristone (Ru486); il periodo di somministrazione del farmaco abortivo può essere prolungato fino alla nona settimana. In seguito al parere del Css, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha emanato la “Modifica delle modalità di impiego del medicinale Mifegyne a base di mifepristone (Ru486)” con la quale sono state superate le precedenti limitazioni.

Nel nostro Paese il ricorso all’aborto farmacologico, benché sia meno invasivo e meno rischioso di quello chirurgico – oltre che meno costoso per il Sistema sanitario –, è stato a lungo ostacolato e oggi, ancora di più, la somministrazione della pillola Ru486 e la possibilità per la paziente di essere dimessa solo mezz’ora dopo l’assunzione del farmaco (per poi attendere a casa che il processo si completi) vengono sentite come una banalizzazione dell’aborto, come una procedura “fai da te” casalinga. In realtà, chi vuole abortire dovrà sempre dichiararne i motivi e mostrarne il carattere di necessità, oltre che ascoltare pareri e consigli prima di prendere una decisione in tal senso. Le critiche sono comunque arrivate puntuali, soprattutto da parte di chi sostiene che si tratti di una facilitazione della pratica abortiva – che porterà, inevitabilmente, all’aumento dell’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) –, nonché di una messa a repentaglio irresponsabile della salute delle donne. 

Ma ciò che conta sono i numeri e le statistiche: nei paesi europei in cui la percentuale di utilizzo della pillola abortiva è alta (come in Francia o Germania), il numero degli aborti non è affatto aumentato. Per quanto riguarda l’aspetto sanitario si deve considerare che le nuove linee guida (dettate da esperti del Consiglio superiore di sanità) si basano su evidenze scientifiche raccolte e maturate in oltre dieci anni di utilizzo del farmaco, dalle quali non sono emerse motivazioni sufficienti per confermare la regola del ricovero precauzionale di tre giorni. L’aggiornamento di queste linee guida potrebbe davvero segnare un cambio di rotta epocale, dal momento che ancora oggi ben otto interruzioni di gravidanza su dieci vengono effettuate in sala operatoria, con un vero e proprio intervento chirurgico, nonostante la Ru486 sia meno invasiva, garantisca una piena autonomia alla donna che compie tale scelta e riesca anche ad evitare ingorghi ed attese in ospedale. L’aggiornamento della procedura non deve essere inteso come una semplificazione etica o morale quanto, come sostenuto da Liberi e Uguali (il partito del Ministro Speranza), come un passo in avanti nella civiltà e nella libertà del singolo individuo, come una modalità nuova in grado di non aggravare ulteriormente la situazione già difficile di donne alle prese con una tale scelta.

Quando in Italia si iniziò a discutere sulla necessità di una legge che legalizzasse il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, l’obiettivo primario era quello di combattere il fenomeno dell’aborto clandestino, con tutte le potenziali conseguenze in termini di salute e mortalità materna. Rispetto ad altri grandi paesi come la Francia (1988) o la Gran Bretagna (1990), l’aborto farmacologico è stato introdotto in Italia con grande ritardo, solamente nel 2009. Stando ai dati pubblicati dal Ministero della Salute nell’ultima relazione (2018), sono sempre meno le donne che ricorrono all’aborto: nel 2018 sono state 76.328, facendo registrare una diminuzione del 5,5% rispetto al 2017. Le ragioni sono molteplici e legate anche all’uso sempre più frequente di contraccettivi di emergenza, come la pillola del giorno dopo o la pillola dei cinque giorni dopo. 

Gli aborti farmacologici in Italia sono il 20,8% del totale, dati bassi se confrontati con quelli dei paesi del Nord Europa vicini al 100%, ma anche di Francia, Svizzera, Regno Unito, Portogallo, dove gli aborti farmacologici si aggirano attorno al 70-80%.

Secondo gli ultimi dati della relazione, nel 2018 il ricorso all’Ivg è diminuito in tutte le classi di età, in particolare tra le giovanissime. I dati più elevati si registrano nella fascia compresa tra i 25 e i 34 anni, mentre tra le minorenni il tasso di abortività nel 2018, pari al 2,4 per 1000, è risultato essere inferiore a quello del 2017, confermando, a partire dal 2004, un trend in diminuzione. Secondo le statistiche, le giovani italiane ricorrono meno all’aborto rispetto alle coetanee dei paesi dell’Europa Occidentale. Il tasso di abortività è più elevato – per tutte le classi di età – fra le donne straniere, le quali rappresentano la popolazione maggiormente a rischio, sia per le precarie condizioni economiche e familiari sia per l’emarginazione socio-culturale cui possono essere soggette. Tuttavia, i dati raccolti in tale àmbito hanno mostrato una stabilizzazione del fenomeno dell’Ivg negli ultimi anni, con una tendenza alla costante diminuzione: nel 2018 le donne straniere rappresentavano il 30,3% di tutte le Ivg – valore identico a quello del 2017 e, tuttavia, inferiore rispetto al 33% del 2014 –, mentre il tasso di abortività era di 14,1 per 1000 nel 2017, 15,5 nel 2016, 15,7 nel 2015 e 17,2 nel 2014. 

Secondo le nuove linee guida le donne che intendono abortire potranno farlo recandosi in ambulatorio o nei consultori, sottoponendosi, due settimane dopo l’assunzione del farmaco, ad una semplice visita di controllo. 

Saranno escluse da tale possibilità alcune categorie specifiche – pazienti con una scarsa soglia di sopportazione del dolore, pazienti che soffrono di attacchi di ansia, o che vivono in condizioni igieniche precarie –, per le quali resta attiva la procedura chirurgica. Così come dimostrano i dati, l’aborto è una pratica ancora fortemente diffusa nel nostro Paese e le nuove direttive permetterebbero di garantire una maggiore autonomia e dignità a tutte quelle donne che desiderano affrontare questa scelta con i propri familiari o, viceversa, mantenere il silenzio nei confronti di partner o parenti. Certo è che la questione resta ancora aperta e sicuramente se ne tornerà a parlare, visto che la possibilità di assunzione dei farmaci abortivi in day hospital – in ambulatorio o persino in consultorio – rappresenterebbe una forzatura della legge 194, che stabilisce che la procedura può essere effettuata solo in strutture ospedaliere o autorizzate – dunque non nei consultori – e dovrebbe quindi essere modificata dal Parlamento, non essendo sufficiente un atto amministrativo.  

Ilaria Tirelli


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