Accordi di Abramo, Siria verso la firma: affari per milioni di dollari
In caso di firma, il Paese sarebbe il quarto dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco
“L’amministrazione Trump guarda con fiducia alla Siria come uno dei prossimi Paesi pronti a firmare gli Accordi di Abramo”. Sono le parole di Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, che giovedì ha parlato della richiesta che Donald Trump a maggio ha rivolto personalmente ad Ahmed al Sharaa, presidente ad interim della Siria, in occasione del loro primo incontro a Riad, in Arabia Saudita. Dopo la storica stretta di mano, il presidente americano aveva ordinato di cancellare le sanzioni che da decenni isolavano il Paese a livello internazionale.
Ahmed al Sharaa, a capo del gruppo jihadista di Hayat Tahrir al-Sham, in passato legato ad Al Qaeda, ha preso il potere in Siria a dicembre, dopo aver rovesciato il regime di Bashar al Assad, alleato strategico di Teheran. Il suo governo di transizione, con il potere centrale a Damasco, non rappresenta tuttavia l’intero Paese, se non sulla carta. A Nord Est resistono sacche fedeli all’ex presidente Assad, a Nord ci sono le milizie sostenute dalla Turchia e a Nord Ovest detta legge l’amministrazione autonoma curda delle Forze Democratiche Siriane. È qui che è ancora attiva una delle ultime basi militari americane in Siria, quella di Rmeilan, dove sorge uno degli impianti petroliferi più grandi del Paese, indispensabile fonte energetica di Damasco. L’ultimo episodio di tensione nel Paese risale a pochi giorni fa, quando un attacco suicida ha ucciso 25 persone in una chiesa della capitale.
Accordi di Abramo, la Siria il quarto Paese dopo Emirati, Bahrein e Marocco
Dopo la firma di Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco nel 2020, la Siria sarebbe il quarto Paese a siglare i cosiddetti Accordi di Abramo con Israele. Il Paese ufficialmente non ha rapporti con il governo di Gerusalemme. Tuttavia, è singolare che, proprio nel giorno in cui la portavoce della Casa Bianca parlava di un possibile allargamento degli accordi alla Siria, il consigliere per la Sicurezza nazionale israeliano Tzachi Hanegbi abbia fatto sapere che i due Stati sarebbero in contatto diretto costante.
Con la tipica indiscrezione che contraddistingue la diplomazia israeliana in Medio Oriente, Hanegbi ha parlato di rapporti quotidiani a tutti i livelli. E non è difficile crederlo: il governo di transizione di Sharaa ha fatto notizia tra le cancellerie arabe per non aver espresso nemmeno una rimostranza in merito ai caccia israeliani che per 12 giorni hanno solcato i cieli del suo Paese per bombardare l’Iran.
Il presidente ad interim della Siria aveva reso noto per la prima volta il suo desiderio di entrare a far parte degli Accordi di Abramo un mese prima dell’incontro con Trump. La fine delle sanzioni, cancellate prima dal Dipartimento del Tesoro americano e poi anche dal Consiglio Europeo, ha dato il via a nuovi investimenti in Siria, riattivando i servizi finanziari e, soprattutto, la possibilità di tornare a vendere petrolio.
Il Paese, dopo oltre 13 anni di guerra, è privo di qualsiasi infrastruttura, e i suoi cittadini sono ancora in gran parte rifugiati all’estero, chi in Turchia, chi in Libano, chi in Europa. Il giro di affari per la ricostruzione è immenso: 250 bilioni di dollari. In maggio Arabia Saudita e Qatar hanno saldato l’enorme debito pubblico del Paese. Subito dopo Shaara ha firmato con un consorzio del Qatar un accordo da 7 bilioni di dollari per la produzione di energia. Le compagnie Telecom del Golfo, come Zain, Etisalat, STC e Ooredoo, si stanno contendendo un progetto per la fibra ottica da 300 milioni di dollari. Sul fronte delle comunicazioni si sono fatte aventi l’americana UNIFI e le Telecom di Cipro e Arabia Saudita.
Negli Accordi di Abramo non c’è solo la politica, ma soprattutto il peso di affari da bilioni di dollari. E la Siria non è la sola opportunità di business: è più che probabile che i fratelli coltelli di Abramo stiano facendo progetti da milioni di dollari anche per la ricostruzione di Gaza.
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