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Addio a Ray Liotta, italoamericano “d’adozione”

Ci ha lasciati a 67 anni, per ragioni ancora non chiarite, l’attore Ray Liotta. L’interprete di Quei bravi ragazzi si è spento nel sonno mentre si trovava nella Repubblica Domenicana per girare un film.

di Ilaria Paoletti -


Liotta ha avuto un inizio di vita niente affatto facile: nato il 18 dicembre 1954 a Newark, fu subito dato in adozione. Furono Mary e Alfred Liotta ad innamorarsi del bimbo dopo aver visitato l’orfanotrofio quando aveva solo sei mesi. Ray crebbe a Union, nel New Jersey. Anche se spesso si dà per scontato che l’attore fosse italoamericano, infatti, in realtà fu lui stesso a dire di aver poi scoperto (dopo aver conosciuto la madre biologica), di non avere affatto radici in Italia, bensì in Scozia. Resta il fatto che il vivere in una famiglia della middle class italoamericana, nel New Jersey dei guidos, gli è tornato sicuramente utile nel corso della sua carriera. Liotta era un grande attore, il tipo perfetto quando serviva qualcuno per interpretare teppisti, psicopatici e stalker. Ma non era solo questo: basta ricordare la sua commovente interpretazione ne L’uomo dei sogni, dove vestiva i panni del malinconico fantasma del giocatore di baseball “Shoeless” Joe Jackson. E quando poi compariva in film come Cogan – Killing them softly, Cop Land o Blow riusciva interpretare tipi solidi, concreti e onesti. Resta però il fatto che il film che per primo lo ha fatto conoscere al grande pubblico fu Qualcosa di travolgente, thriller di Jonathan Demme del 1986: un’opera che inizia come commedia per poi rivelare un lato oscuro. E nel lato oscuro c’era appunto Ray Liotta, all’epoca trentunenne, nel ruolo di un feroce psicopatico. Naturalmente, la sua performance più amata è in Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese. La sua fisicità, contrapposta a quelle degli italoamericani “di pedigree” Joe Pesci e Robert De Niro, era perfetta: perché aveva sì l’allure e l’atteggiamento del gangster del New Jersey, ma anche qualcosa di sfuggente, non perfettamente in linea con lo stereotipo. Henry Hill, il suo personaggio, era in fondo un ragazzo del quartiere che “voleva essere un gangster”. Da qui la genialità della recitazione di Liotta: ha messo quel tanto di “normale” in un personaggio altrimenti al limite. In pratica, ci ha restituito il vero gangster – e anche un po’ di sé stesso, italoamericano d’“adozione”, come Henry Hill. Il peso di quel ruolo si rivelò schiacciante per l’attore, che per molto tempo evitò ruoli simili, dimostrando per l’appunto di essere (e di volere) molto di più. E che fosse molto di più di un caratterista lo abbiamo capito anche da una delle sue ultime performance: in Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, l’attore ha interpretato Jay Moratta, costoso avvocato divorzista, che indossa un anello da mignolo ingioiellato e che promette di portare alla vittoria il marito, interpretato da Adam Driver, schiacciato da un tremendo divorzio. Ha interpretato magistralmente un principe del foro che non si muove per meno di 800 dollari l’ora, uno che rivela che la sua “guerra” con l’avvocato di controparte è solo spettacolo. Un’interpretazione deliziosa, da manuale, una spanna sopra a quella dei comprimari, per la quale avrebbe sicuramente meritato un premio.


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