Attualità

Adolescenti ieri e oggi: dagli anni ’70 ai Maranza, il cambiamento di una generazione

di Monica Marini -


C’è stato un tempo in cui gli adolescenti sognavano di cambiare il mondo. Era l’Italia degli anni ’70, quella dei cortei, dell’impegno politico, delle assemblee studentesche dove si discuteva — a volte con troppa foga, a volte con utopia — di giustizia sociale, di parità, di libertà. Gli studenti, in quell’epoca, volevano contare, essere protagonisti della storia. Magari non sempre riuscivano a farlo, ma ci credevano. E anche quando protestavano contro le istituzioni, le riconoscevano. La scuola era vista come un luogo centrale, i professori come figure autorevoli — talvolta contestate, ma mai derise. 

Negli anni ’80 qualcosa cambia. L’adolescente non è più l’idealista, ma il consumatore. Nasce la figura del paninaro: giacche firmate, scooter, fast food, musica pop. È la stagione del disimpegno, ma anche della costruzione personale. Meno rivoluzioni, più ricerca del benessere. I valori collettivi lasciano il posto all’affermazione individuale. Non si sogna più di cambiare il mondo, ma di riuscire a starci dentro con stile. Anche in questo caso, però, il rispetto verso le regole, verso la scuola, verso le figure adulte resta presente, seppur con toni più ironici e distaccati. 

E poi arrivano gli adolescenti di oggi. Figli di un mondo iperconnesso, globalizzato, confuso. Un mondo dove l’identità è liquida, e il senso del limite sempre più sfocato. Oggi l’adolescenza è multietnica, visivamente libera, ma anche profondamente frammentata. Si muove tra TikTok e Instagram, vive nella sovraesposizione ma spesso si sente invisibile. In questo contesto nascono fenomeni come quello dei Maranza: ragazzi rumorosi, aggressivi, provocatori, con look sgargianti e atteggiamenti sprezzanti. Più che una vera sottocultura, una reazione sociale. Un disagio che si esprime con la maleducazione, la sfida aperta alle regole, l’assenza di filtri. 

E la scuola? Oggi spesso è percepita non più come luogo di crescita, ma come obbligo burocratico. Il professore non è più guida, né autorità, ma solo un “dipendente” con cui contrattare il voto. Niente più dialettica, solo silenzi o aggressioni verbali. In aula manca l’ascolto, manca il rispetto. È la crisi del patto educativo tra adulti e giovani. E quando viene meno il riconoscimento reciproco, viene meno la possibilità stessa di educare. Eppure, in mezzo a questo scenario preoccupante, resistono adolescenti sensibili, lucidi, consapevoli. Ragazzi che cercano punti fermi, anche se non li trovano. Il compito, oggi più che mai, è ricostruire un ponte tra le generazioni. Perché dietro l’arroganza del disinteresse, si nasconde spesso solo una domanda d’aiuto non ascoltata. E forse, il primo passo, è proprio tornare a credere che un adolescente possa ancora sognare un mondo diverso. Magari non perfetto. Ma più rispettoso e più vero.


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