Lavoro

AFFONDATA SUL LAVORO

di Cristiana Flaminio -


Ritorno al lavoro. L’Italia deve ripartire dall’occupazione. E, per farlo, deve risolvere un paradosso che condivide, in realtà, con l’Europa e il resto del mondo occidentale: ci sono tanti, troppi disoccupati ma le aziende non riescono a trovare personale qualificato e formato. Giorgia Meloni, che ha presenziato ieri all’inaugurazione del Salone del Mobile di Milano, ha ribadito la sua linea sulle politiche del lavoro: “Mentre noi continuiamo ad accapigliarci sul reddito di cittadinanza che comunque il Governo conferma di non voler continuare a dare a chi è in condizioni di poter lavorare scopriamo che le nostre aziende dicono che in quattro casi su dieci hanno difficoltà a trovare manodopera qualificata con posti di lavoro ottimamente retribuiti”. Poi la presidente del consiglio “smentisce” il Def e, sul tema degli immigrati, ritiene che i problemi non si risolvono aumentando i flussi ma disincagliando l’occupazione femminile: “È oggettivo che in Italia abbiamo un problema nel nostro sistema economico e sociale che deriva dal fatto che per troppi anni non abbiamo investito sulla natalità e sulla demografia. Di fatto noi abbiamo sempre più persone da mantenere e sempre meno persone che lavorano. Al di là della valutazione però questo problema si risolve in vari modi e il modo in cui lavora il governo non è risolverlo con i migranti: è risolverlo con quella grande riserva inutilizzata che è il lavoro femminile perché alzando il livello del lavoro femminile e portandolo alla media europea i nostri dati cambierebbero molto, e lavorando sulla demografia e quindi sull’incentivazione della possibilità delle famiglie di mettere al mondo figli. Questo è quello per cui il governo lavora”. Daniela Santanché, ministro al Turismo, ha sciorinato le cifre: “A Pasqua siamo andati molto bene e le associazioni di categoria ci dicevano che mancavano 50mila lavoratori, ma lo scorso anno ne sono mancati 250mila. Stiamo cercando di mettere in campo delle misure per aiutare le aziende, perché sarebbe un vero peccato se non si incrociassero domanda e offerta. Visto che il lavoro c’è e il turismo sta andando molto bene”.
Ma il tema vero riguarda la formazione. Senza, non c’è creatività e dunque non ci può essere nemmeno Made in Italy. Non si tratta di questioni isolate ma complementari. I marchi vanno difesi e preservati ma se i lavoratori non sono debitamente formati la spinta propulsiva dell’economia rischia di affievolirsi. Perciò Meloni, alla platea del Salone del Mobile, ha promesso una legge quadro sulla valorizzazione del marchio “che punta su tre pilastri” e cioè “lotta senza quartiere a contraffazione e concorrenza sleale; strumenti finanziari per far crescere le Pmi particolarmente nel settore delle eccellenze; formazione e competenze”. La premier è tornata a lanciare l’idea del liceo del Made in Italy: “Serve una rivoluzione culturale per mettere al centro il lavoro creativo italiano. Abbiamo un disperato bisogno di rafforzare competenze che mancano e allineare offerta e lavoro. Non possiamo accettare che 4 imprese su 10 abbiano difficoltà a trovare personale per lavori ben retribuiti. E allora serve una rivoluzione culturale, e il liceo del Made in Italy è una delle soluzioni”. Della necessità di ripartire dalle politiche occupazioni è convinto anche Filippo Sangalli, segretario generale di Confcommercio: “Nonostante la forte crescita del turismo l’economia non decolla, mancano all’appello 230mila lavoratori nella filiera turistica e nel commercio che sono i principali settori in grado di produrre nuova occupazione. Per rilanciare la crescita bisogna proprio partire dalla occupazione con politiche attive più efficienti e con più formazione”.


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