Agroalimentare, export formaggi italiani top in Europa. Il vino del Belpaese naviga a vista dazi e guarda ad altri mercati
Nonostante dazi e congiunture economiche delicate, l’agroalimentare italiano è ancora protagonista. In particolare, il Belpaese si conferma attore primario nel settore lattiero-caseario, diventando il primo esportatore dell’Unione Europea per volumi. Secondo i dati della Commissione Europea diffusi da Assolatte, nel primo semestre del 2025 le esportazioni italiane di formaggi hanno raggiunto 97.663 tonnellate, pari a 968,2 milioni di euro, con una crescita del 5% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Un risultato che testimonia la capacità del comparto caseario nazionale di valorizzare le proprie eccellenze, rafforzando il ruolo del Made in Italy nel mondo. Particolarmente significativo è l’andamento positivo nei mercati strategici extraeuropei come Uk, Canada, Corea del Sud, Arabia Saudita e Australia, dove la domanda di formaggi nostrani aumenta, ribadendo come queste produzioni siano considerate sinonimo di qualità e autenticità. “Questo traguardo storico – spiega il Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida – è il riconoscimento del lavoro straordinario dei nostri allevatori, dei caseifici e di tutta la filiera che, con impegno e passione, portano nel mondo un patrimonio di qualità, tradizione e innovazione. I formaggi italiani rappresentano non solo un’eccellenza gastronomica, ma anche un elemento identitario della nostra cultura e del nostro territorio”. Situazione più complicata e complessa, invece, quella legata al vino. Ed è il Report Wine Monitor di Nomisma a scattare la fotografia aggiornata delle importazioni nei principali mercati mondiali nel primo semestre del 2025, che mette in luce l’assenza di un andamento univoco: nella prima metà di quest’anno, infatti, i singoli Paesi – monitorati nel report di Nomisma – evidenziano dinamiche differenti, anche se complessivamente i dodici principali mercati internazionali fanno registrare una crescita del +1,5% a valore e del +2,1% a volume. Gli Usa si confermano il principale mercato di riferimento per il vino italiano, ma la fine dell’accumulazione di scorte da parte degli importatori in previsione dell’entrata in vigore dei dazi disposti dall’amministrazione Trump ha visto un secondo trimestre in calo: se infatti fino a marzo la crescita delle importazioni aveva segnato un +22% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, il cumulato aprile-giugno ha invece registrato una riduzione del -7%. Si tratta di una tendenza che ha coinvolto anche gli acquisti di vini italiani: la variazione per il primo semestre appare positiva (+2,5%) solo grazie all’accumulazione avvenuta nei primi tre mesi dell’anno. “In attesa della pronuncia della Corte d’Appello Usa sulla legittimità dei dazi, a seguito della causa promossa da alcune aziende locali tra le quali l’importatore di vini italiani Victor Schwartz, è evidente che le nostre aziende vitivinicole siano obbligate a monitorare le dinamiche in atto a livello globale per individuare altri mercati in grado di assorbire le nostre produzioni”, commenta Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor. Per quanto riguarda gli altri mercati di riferimento, anche in Canada i vini italiani avrebbero “scontato” l’effetto dazi a stelle e strisce ma, al contrario nel primo semestre dell’anno le importazioni dall’Italia sono cresciute di quasi l’11% beneficiando della sostituzione “a scaffale” dei vini statunitensi (come ritorsione ai provvedimenti tariffari di Trump), crollati di oltre il 65%. Una performance molto significativa per i vini italiani si registra, infine, pure in Germania (+10,3% a valore), in evidente recupero rispetto al 2024.
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