Editoriale

Alla gogna subito, innocenti dopo anni

di Adolfo Spezzaferro -


Siamo alle solite, la giustizia ad orologeria colpisce ancora: l’arresto del governatore della Liguria Giovanni Toti, sulla scorta di indagini aperte nel 2020, arriva a pochi giorni dalle elezioni europee, con il centrodestra verso la vittoria. A dimostrare che la tempistica dell’arresto non è casuale ma voluta è il testo dell’ordinanza del gip. “Esiste il pericolo attuale e concreto che l’indagato – si legge – commetta altri gravi reati della stessa specie di quelli per cui si procede e, in particolare, che possa reiterare, in occasione delle prossime elezioni, analoghe condotte corruttive”. Gli arresti domiciliari nei confronti di Toti sono stati disposti proprio perché le elezioni sono alle porte. Un arresto la cui tempistica ha suscitato serie perplessità anche tra i membri del governo, a partire dal ministro della Giustizia. Ma il governatore ligure è soltanto l’ultimo in termini di tempo di una serie di colleghi amministratori colpiti dalla magistratura spesso secondo un tempismo sospetto. Restando in Liguria, citiamo Marta Vincenzi, che non è stata presidente della Regione ma della Provincia di Genova. È stata condannata per l’alluvione del 2011 a Genova. In pratica è stata ritenuta colpevole di non aver previsto che sul capoluogo liguro si sarebbe scatenato l’inferno meteo. La Vincenzi ha finito da poco di scontare i tre anni patteggiati con affidamento ai servizi sociali. Vi ricordate Gianni Alemanno? L’ex sindaco di Roma è stato associato alla mafia, addirittura. Un marchio che ti segna la carriera per sempre. La vicenda è quella di Mafia Capitale, ma a crollare è stato proprio il castello di carte degli inquirenti, a partire dal nome giornalistico dell’inchiesta Mondo di Mezzo. Alla fine la magistratura ha stabilito che Alemanno non era mafioso e che di mafia a Roma non ce n’era. Restando nel Lazio, come non citare il cosiddetto Laziogate, ossia lo scandalo delle presunte intrusioni nel sistema informatico dell’anagrafe del Comune di Roma in cui sarebbe stato coinvolto anche l’allora governatore Francesco Storace. Neanche a dirlo, per il fango gettato sul suo nome, Storace nel 2006 ha perso le elezioni per un secondo mandato. Poi si è dimesso pure da ministro della Salute perché indagato per la storia del presunto spionaggio sugli avversari politici poi rivelatasi infondata. Dopo sette anni arriva l’assoluzione, ma il danno ormai era fatto. Se poi andiamo più a ritroso, c’è il caso di Ottaviano Del Turco, presidente della Regione Abruzzo invischiato nella Sanitopoli abruzzese. Ebbene, la sua vicenda giudiziaria si è protratta per un decennio. Alla fine i reati di cui era accusato – corruzione, concussione, truffa, falso e associazione a delinquere – sono caduti. Del Turco (tra i fondatori del Partito democratico) è stato ritenuto colpevole solamente di “induzione indebita a dare o promettere utilità” e condannato in via definitiva a tre anni e 11 mesi. Ma attenzione, questo reato esiste solo dal 2012, perché è stato introdotto dalla legge Severino. Chiudiamo con la Campania, il governatore era Antonio Bassolino, accusato di corruzione in qualità di commissario straordinario per l’emergenza rifiuti – erano gli anni dal 2000 al 2004. È stato assolto con formula piena solamente nel 2012, dopo che per anni è stato associato alla corruzione più sfrenata. La gogna infatti condanna ben prima del comunque troppo lungo corso della giustizia. Insomma, le inchieste a orologeria colpiscono subito, poi se dopo anni la vittima designata risulterà innocente, non importa: l’obiettivo di distruggerla politicamente – poco prima delle elezioni, magari – è stato pienamente raggiunto.


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