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Altre armi, altre polemiche

di Eleonora Ciaffoloni -

GIUSEPPE CONTE GIORGIA MELONI


A ventiquattr’ore dal Consiglio Europeo degli Affari Esteri e della Difesa, al governo Meloni manca solo l’ultimo via libera per arrivare a Bruxelles con l’appoggio del Parlamento su un possibile nuovo invio di armi a sostegno dell’Ucraina. La questione del conflitto è sul tavolo del consiglio e, proprio su questo, Giorgia Meloni già ieri ha riferito in Senato – mentre oggi lo farà alla Camera – facendo sapere che l’Italia rispetterà gli impegni presi con l’Alleanza Atlantica e aumenterà la spesa militare fino al 2% del Pil con l’intenzione, quindi, di proseguire sulla linea dell’invio di aiuti e armamenti a Kiev. Linea condivisa con tutto il Consiglio Ue che ha come priorità quella di “dare sostegno all’Ucraina a 360 gradi” – con l’Ue che annuncia l’invio di altri due miliardi di armamenti -e confermata dal colloquio telefonico della premier con il cancelliere tedesco Olaf Scholz da cui emerge un definitivo allineamento tra Roma e Berlino sul tema della guerra.

 

GLI “ORDINI” DELL’EUROPA

 

Ieri in Aula a Palazzo Madama Giorgia Meloni ha ribadito la linea del governo: nessun dietrofront sull’aumento delle spese militari – già annunciato – e sull’invio di armi in Ucraina. “Questo governo è abituato a difendere l’interesse nazionale: non abbiamo mai fatto mistero di voler aumentare i propri stanziamenti in spese militari, come hanno fatto i governi precedenti, magari di soppiatto, senza metterci la faccia. Noi la faccia ce la mettiamo convinti che rispettare gli impegni sia vitale per tutelare la credibilità e la sovranità nazionale”, ha detto la premier. E di fronte alle critiche sulla spesa militare in periodo di crisi per gli italiani, Meloni l’ha definita “puerile propaganda” spiegando come “l’Italia sta inviando materiali e componenti già in suo possesso, e che per fortuna non utilizziamo. Inviamo questo materiale per prevenire la necessità di dover un giorno utilizzarlo noi, lo facciamo anche per tenere la guerra lontana. Raccontare che si potrebbero aumentare le pensioni e ridurre le tasse è una menzogna che intendo chiamare con il suo nome”. Un esecutivo che di certo non si fa intimidire e che manda un messaggio chiaro ai rappresentati degli italiani ma anche direttamente al resto dell’Unione Europea con la richiesta a tutti i Paesi membri a rimanere uniti a sostegno dell’Ucraina: “È indispensabile l’unità dell’Ue di fronte alla guerra di aggressione russa. Il popolo ucraino sta difendendo anche i valori di libertà e democrazia su cui si fonda la nostra civiltà e le finalità stesse del diritto internazionale, senza cui sostituiremmo la forza del diritto al diritto del più forte”. Una posizione netta che si allontana dalle accuse nei confronti di Meloni che si direbbe “prende ordini in Europa”. Illazioni su cui la premier non lascia correre: “Non mi vedrete mai. Preferisco dimettermi che presentarmi al cospetto di un mio omologo europeo, con i toni con cui Conte andò da Merkel”. Non di certo un modo per ingraziarsi – al momento del voto – il Movimento 5 Stelle che, per ora, sembrerebbe fare da trainante di quel piccolo spicchio di parlamento che è contrario al sostegno in armi all’Ucraina.

 

UNA FINTA DIVISIONE

 

Il discorso di Meloni a Palazzo Madama ha evidentemente fatto breccia: non solo per la standing ovation di molti senatori, ma anche per la successiva approvazione della risoluzione della maggioranza senza particolari brividi al conteggio. A dividersi, non a discapito dell’esecutivo, sono ancora una volta le opposizioni che, in tre, presentano tre documenti di indirizzo diversi. E se solo il Movimento 5 Stelle ha votato – e vota oggi – no alla risoluzione insieme all’Alleanza Verdi e Sinistra Italiana, Partito Democratico e Terzo Polo si dicono contrari alle intenzioni governative presentando però solo una “finta” divisione visto il proseguimento con il voto positivo all’invio delle armi. Se Conte dice no e Calenda non parla, la segreteria dei dem gioca di equilibrismo mantenendo da un lato la linea pacifista del no alla guerra e della spinta ai negoziati, mentre dall’altro cerca di non tradire l’orientamento atlantista che li spinge al sì alle armi. La richiesta del Pd al governo è quella di chiedere agli organi comunitari europei la promozione di un’iniziativa diplomatica per la pace. Una proposta che il leader dei pentastellati vede lontana, anche per mantenere quel manifesto di coerenza che colloca la pace sopra tutto – ma anche per collocarsi a sinistra e riscavare qualche falla tra gli elettori dem: “L’escalation militare non ha più fine, noi vogliamo un percorso negoziale di pace e l’Italia deve essere in prima fila” ha ribadito Conte ieri.

SI SCRIVE GUERRA SI LEGGE RICOSTRUZIONE

 

Eppure, nel suo discorso Meloni non ha solo parlato di guerra, ma anche del futuro di questa, di ripresa e di ricostruzione. Difatti nella risoluzione si conferma l’impegno del governo anche a favore di “ogni iniziativa finalizzata ad una risoluzione del conflitto nel rispetto del diritto internazionale, lavorando con la comunità internazionale nel quadro delle Nazioni Unite” e “a pianificare specifiche iniziative per la ripresa e la ricostruzione del Paese anche nella prospettiva dell’avvio del percorso di adesione all’Unione”. Scritto, ma anche dichiarato dalla premier che pone al centro il tema della futura ricostruzione dell’Ucraina, “sulla quale credo che il sistema Italia sia pronto a dare il suo contributo”. Sistema pronto anche in vista della conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina in programma a Roma il prossimo 26 aprile. Non è stata di certo casuale, su questo tema, la visita di Giorgia Meloni a Kiev con il presidente Zelensky, perché dove si scrive guerra, si legge ricostruzione.


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