Attualità

“Altro che autonomia è il federalismo fiscale la vera svolta per il Paese”

di Edoardo Sirignano -

GIOVANNI GUZZETTA DOCENTE


“Non comprendo la polemica dei presidenti delle Regioni del Sud. L’Autonomia si farà solo quando verranno definiti i livelli essenziali delle prestazioni, su cui non ci potranno essere differenze”. A dirlo il noto costituzionalista Giovanni Guzzetta.

Cosa ne pensa dell’ultima riforma voluta dal ministro Calderoli?

È un’iniziativa che riprende tentativi già compiuti nel passato per l’attuazione di un articolo della Costituzione approvato ventidue anni fa. Mi sembra, quindi, un qualcosa di doveroso.

I governatori del Sud, intanto, sono pronti a scendere in piazza contro un provvedimento, che a loro parere, penalizzerebbe il Mezzogiorno…

Francamente non capisco la loro polemica. Il progetto, che è stato approvato, prevede una condizione che dovrebbe tranquillizzare tutti e cioè che l’autonomia si farà solo nel momento in cui verranno definiti i livelli essenziali delle prestazioni, che dovranno essere assicurati su tutto il territorio nazionale, sia per quanto concerne la competenza dello Stato che delle Regioni.

La verità è forse che tanta agitazione è dovuta al fatto che stiamo parlando di chi a causa dell’improvvisa crisi e perché no anche di scelte sbagliate si ritrova le casse vuote…

Il problema c’è sia quando si tende ad accentrare che decentrare. È una difficoltà generale, che si pone qualunque sia il margine di autonomia. Tutto ciò, quindi, non c’entra nulla col dibattito in corso negli ultimi giorni.

Su quali aspetti del testo occorrerebbe lavorare?

Sicuramente sull’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione che prevede il federalismo fiscale, che è un’altra norma, completamente inattuata. Stiamo parlando di un’iniziativa che deve essere a tre teste: la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, il compimento del federalismo fiscale e l’autonomia differenziata. Quest’ultima è prevista dalla Costituzione e le Regioni hanno il diritto di chiederla. Lo Stato, poi, deve valutare politicamente, con una deliberazione del Parlamento, se e quanto concedere.

Quale la sua idea, invece, rispetto al presidenzialismo tanto voluto da Giorgia Meloni?

Ritengo che non esistono ragioni che consentano di difendere l’esistente e quindi è necessario andare verso una riforma che dia maggiore efficienza alla macchina di governo. Penso che il presidenzialismo sia il modello che più si adatti all’Italia per svariate ragioni. La prima è che è stato adottato in Paese come la Francia, che aveva esattamente gli stessi nostri problemi e li ha risolti sessanta anni fa. Questo modello, poi, consente di coniugare una stabilità del ruolo di colui che deve garantire il buon funzionamento del sistema, cioè il Presidente della Repubblica, conservando la logica del sistema parlamentare. Le alternative, dal punto di vista della praticabilità, mi sembrano molto più complicate.

Su tali temi dovrebbe esserci una maggiore collaborazione tra maggioranza e opposizioni? Magari si può riprendere lo strumento della Bicamerale?

La storia di quaranta anni di fallimenti ci insegna che non basta la collaborazione. Ci vorrebbe altro. Sostengo da tempo che debba esserci un referendum che permetta ai cittadini di scegliere il modello che preferiscono, spingendo così le forze politiche ad arrivare a un risultato. Il problema non è la sinergia, che in passato c’è stata, ma il fatto che malgrado la collaborazione le riforme falliscono. È indispensabile un vincolo esterno rappresentato da una spinta popolare, proprio come accaduto in Italia in occasione del referendum tra monarchia e repubblica.

Altro argomento dibattuto negli ultimi giorni è il ritorno degli anarchici. Rappresentano davvero una minaccia?

Non ho elementi per fare una valutazione di questo tipo. Occorre basarsi su informazioni e attività di accertamento che sono deputate alle forze di polizia, alla magistratura, al ministero dell’Interno.

Ha, però, una sua particolare idea sulla vicenda?

Su questo 41 bis si deve e si può discutere, pur tenendo presente che stiamo parlando di un qualcosa che esiste da ventuno anni. Alzarsi all’improvviso e scoprire che ci sono degli ostacoli, mi sembra un atteggiamento sbagliato. La Corte Costituzionale sull’argomento si è pronunciata più volte. Ha eliminato delle norme che erano illegittime nell’organizzazione. Detto ciò, il legislatore ha esteso aree di applicazione della misura. Va fatta, pertanto, una riflessione politica, ma non una ideologica.

La sinistra, in particolare, spesso ha cambiato parere sull’argomento…

Diverse sono le anime belle che oggi scoprono di avere una posizione. Stiamo parlando di questioni che dovrebbero andare oltre i colori politici.

Considerando la sua ampia conoscenza del Parlamento, Donzelli nel suo intervento sugli anarchici ha alzato troppo il tono?

Dal punto di vista costituzionale, è tutto lecito. Ricordo una sentenza della Corte che si è dovuta occupare del fatto che c’erano state delle aggressioni fisiche tra parlamentari. In quell’occasione, fu detto che queste non rientrano nell’immunità di cui godono deputati e senatori. Ci sono stati, quindi, sicuramente episodi più gravi. Dopodiché non voglio sminuire la delicatezza di quanto accaduto. Ritengo che faccia parte di una dinamica politica molto deteria da una parte e dall’altra. Tutti i nostri rappresentanti, senza esclusione, dovrebbero avere un sussulto di responsabilità e non speculare in maniera opportunistica.


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