Politica

Ammucchiata Democratica

Letta predica “identità” poi tratta con chiunque: da Brunetta a Di Maio. E la base insorge.

di Adolfo Spezzaferro -

©Gianluca Pascutti


Il segretario Dem promette identità ma corteggia centristi ed ex Fi. Liste ancora in alto mare e sui territori è già scontro tra i dirigenti.

Enrico Letta predica bene ma razzola male: il segretario del Pd promette identità ma vuole imbarcare tutti in una grande ammucchiata che scatena non pochi mal di pancia nella base Dem. Sì, perché il leader piddino in realtà sta corteggiando centristi ed ex FI. Intanto le liste elettorali sono in alto mare e nei territori è scontro tra i dirigenti del partito.

Allo stato attuale per Letta si presenta un rompicapo senza eguali: i veti incrociati e i paletti dei possibili alleati della coalizione elettorale sono un problema per chi deve tenere buona la parte sinistra del partito ma non può permettersi di rinunciare ai centristi. Il ragionamento è che più partiti imbarca il Pd, più aumentano le possibilità di vincere. Ma in realtà il problema è inverso: per accontentare tutti, Letta rischia di presentare una coalizione ch potrebbe scontentare non pochi elettori. In questi giorni in effetti in tanti nel Pd hanno spinto per andare da soli, come fece Walter Veltroni. E forse lo stesso Letta per un attimo ha accarezzato l’idea. Ora invece sembra orientato a fare il contrario esatto.

L’unica certezza, almeno per adesso, è che con l’ex alleato del fu campo largo la rottura è insanabile. Letta sbarra la strada in modo definitivo a un’intesa elettorale con il M5S. Mentre si lavora a una coalizione di centrosinistra (il nome abbozzato è “Democratici e Progressisti”, la cui sigla evoca qualcosa che fu molto più a sinistra, Democrazia Proletaria) con al centro l’agenda sociale e le riforme interrotte con la caduta del governo Draghi. Da Lucia Annunziata a Mezz’ora in più il leader dem va per strappare all’ormai ex compagno di viaggio le sue parole d’ordine (“noi siamo molto più progressisti dei 5 stelle”) assicurando tuttavia che non andrà in scena “una campagna astiosa o arrabbiata” contro Conte. “Con loro abbiamo fatto un percorso che rivendico. Non mi sono pentito perché c’era stata un’evoluzione dei Cinque Stelle”, ma poi l’ex premier pentastellato «ha fatto la scelta di campo di abbandonare quella evoluzione». È la risposta all’avvocato del popolo che – in un’intervista – affermava che il Pd è “arrogante” e “i progressisti siamo noi”, osservando che l’accusa di essere un traditore “è un’infamia, ma non mi fa male”. Resta il fatto che Letta non riesce a digerire la caduta del governo Draghi, “un suicidio collettivo della classe politica del nostro Paese, che ne esce molto ammaccata”, e annuncia le future mosse per costruire “una lista aperta, espansiva, di cui ho parlato con Roberto Speranza, coi socialisti, coi cattolici di Demos, e che vorrei fosse guidata da 100 mila volontari”. Sul percorso condiviso il sì del ministro della Salute ed esponente di LeU è dato già per sicuro.

Spuntano pure i primi nomi eccellenti. “Io candidato in Parlamento? Io sono amministratore grazie ai cittadini della mia comunità ormai da quattordici anni perché abbiamo sempre vinto insieme le elezioni. Io sono a disposizione di un progetto politico, poi dipenderà da Enrico, dal gruppo dirigente del Pd”. Lo annuncia Nicola Zingaretti. “La mia consiliatura è finita, perché nel Lazio dopo due mandati non ci si può ricandidare e penso che due mandati per un presidente di Regione siano sufficienti. Sicuramente combatterò, strada per strada e nelle piazze per ridare speranza a questo Paese che è la mia gente e alla mia comunità”. Rispunta pure la Debora Serracchiani, che a quanto pare ha già un seggio blindato in Friuli, da dove era fuggita per paura di perdere. Da quelle parti il malcontento cresce anche per un’altra candidatura che poco ha a che fare con il Pd: quella di Tatjana Rojc, in quota minoranza slovena. Entrambe viste dalla base come due Dc che per di più non sono neanche del posto.

Questi i problemi sul territorio, dove si dovranno fare le liste e quindi trovare la quadra per accontentare anche i dirigenti locali. Il territorio è importante, e lo sa bene Letta, che incrocia le dita affinché l’agine toscoemiliano regga ancora una volta contro le destre. Altrove ilproblema è quello indicato da Clemente Mastella, che chiede di essere imbarcato nella coalizione: bisogna puntare sui sindaci e su chi gestisce i voti a livello locale.

Sul fonte nazionale invece pesa il Patto repubblicano, come Carlo Calenda ha chiamato la sua minicoalizione che dovrebbe confluire nel centrosinistra. Ma l’ex ministro Dem già si rivela una gatta da pelare: non vuole Letta premier ma punta su Draghi. Vera ossessione, il premier dimissionario, soprattutto per un altro ex Dem: il leader di Italia Viva Matteo Renzi. Il quale non ha dubbi, per adesso: “Non ci interessa un’alleanza solo per racimolare tre seggi”. E ancora: “Noi a Palazzo Chigi vogliamo riportarci Draghi”. Al di là del fatto che Iv da sola non va da nessuna parte, per Letta resta il problema che per imbarcare tutti deve fare i conti con il fantasma di Mr. Bce, con il partito di Draghi in assenza di Draghi. Che poi la tanto decantata agenda Draghi non è altro che quella dettata da Bruxelles. I compiti a casa per l’Italia. Da cui non si prescinde. Il programma elettorale, quello invece sì che è una cosa seria. Letta troverà la quadra?


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