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Anatomia del posto fisso

di Giovanni Vasso -


L’età media del “posto fisso” italiano sale a 50 anni, solo due impiegati pubblici su cento hanno meno di trent’anni. Non è un lavoro per giovani. Che, sempre più spesso, almeno nei profili ad alta specializzazione, preferiscono lavorare nel settore privato. Tra dieci anni ci sarà l’ecatombe: uno su tre sarà in pensione. Al Forum della Pubblica amministrazione sono stati svelati i numeri. Che raccontano una realtà sicuramente migliorabile, che risente di anni di stop alle nuove assunzioni e di tagli indiscriminati. La prima conseguenza della stagione della spending review è nei problemi connessi all’attuazione del Pnrr. La seconda sta nella sclerotizzazione delle attuali piante organiche, della perdita di appeal del posto fisso e nel rischio di una desertificazione del pubblico da qui a un decennio.
In vent’anni, l’età media del dipendente pubblico è salita da 44,2 anni (2001) a 50,7 (2021). Sale, ancora di più, l’età di entrata al lavoro nella Pa. Se prima la media era di 29,3 anni, adesso per la prima assunzione si è passati a 34,3 anni. Solo il 4,8% dei dipendenti pubblici ha meno di trent’anni, il 3,6% è stabilizzato. Il resto è composto di precari. Clamoroso il caso dei Ministeri. Dove solo 0,7% del personale è under 30 mentre un impiegato su tre (29,3%) è over 60. Lo scarto si fa imbarazzante nella scuola, dove i giovani rappresentano appena lo 0,3%.
Di fronte a una pubblica amministrazione sempre più vecchia, si spalanca il rischio di uffici (ancora) più vuoti e sguarniti. La ricerca Fpa evidenzia, infatti, che entro il 2033 andrà in pensione un milione di lavoratori.
Un terzo dell’attuale forza lavoro della Pa. Sarà forse per questo che i concorsi hanno ripreso, a tutta forza. Ma partecipano sempre meno persone. Si è passati da una media di 200 candidati a 40. E c’è di più: due vincitori su dieci, infatti, salutano e declinano il posto. Sempre meno persone, anche dal Sud, scelgono di impiegarsi al Nord. Non conviene, economicamente, farsi mangiare mezzo stipendio solo d’affitto. In più, cresce il numero dei contratti a tempo determinato. Attualmente, sono 15 su cento. E questi non attirano chi si affaccia sul mercato del lavoro. Il maggior numero di contratti precari pubblici è sull’istruzione (68%) e nella sanità (23%).
Per il presidente Aran Antonio Naddeo bisogna ribadire alcuni concetti chiave per restituire appeal a una carriera nella Pa. “Nel privato si guadagna di più? Ma quale amministrazione privata paga quanto quella pubblica?”. Naddeo sciorina i numeri: “Se si guarda infatti alla retribuzione media mensile netta di un funzionario si osserva come nei ministeri è di 1.816 euro, nelle Funzioni locali di 1.852 e addirittura nelle Agenzie fiscali di 1.951 euro”. Ma c’è un altro aspetto, nemmeno troppo secondario, da tenere presente: “Non sempre nel privato le condizioni sono migliori perché c’è il rischio fallimento, licenziamento e cig”. Le parole del presidente dell’Aran non sono banali. Perché non è banale il momento storico che vive il Paese e, nello specifico, la Pa.
Con il Pnrr, infatti, le pubbliche amministrazioni subiscono la concorrenza dei privati e rilevano più di una lacuna nelle loro piante organiche. Il pubblico ha bisogno di assumere, di farlo bene e di investire nei talenti. Forse è arrivato il momento di un’inversione di tendenza. Che superi i luoghi comuni per far ripartire il Paese. Anche, o forse soprattutto, nel “posto fisso”.

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