Napoli

Antonio Conte a Napoli vincerà se sconfiggerà la retorica del calcio

di Giovanni Vasso -

Antonio Conte firma il contratto che lo rende il nuovo allenatore del Napoli, alla presenza del Presidente Aurelio De Laurentiis, Roma, 5 giugno 2024. ANSA/SSC.NAPOLI.IT +++ NPK +++ NO SALES, EDITORIAL USE ONLY +++


Antonio Conte è il nuovo allenatore del Napoli. È ufficiale. E con l’ufficialità, anzi da prima, è cominciata la (solita) zuppa di retorica e insalata di messianesimo. Conte è già “re” e qualcuno, più di uno, sognava la presentazione a Palazzo Reale della nuova incarnazione divina, del D10s ritornato, come Sebastiano del Portogallo, come il Mahdi, a profetizzare calcio e vittorie ai giusti. Intendiamoci, non è un problema (solo) di Napoli. Il calcio di oggi, piuttosto bruttino anzichenò, ha bisogno di forti spinte per essere venduto. Perché gli abbonamenti costano sempre di più, tanto allo stadio quanto alla tv. Perché di grandi campioni, di carismatici condottieri non ce n’è granché. Forse, appunto, è rimasto Antonio Conte. Andonio, ex odiatissimo nemico sabaudo poi “servo” dell’Inter cinese, fino a qualche anno fa. Ora è al Napoli, è tutto dimenticato. E meno male.

Aurelio De Laurentiis, dicono quelli che la sanno lunga, è tornato in sé. Dopo la sbornia post-scudetto, Adl ha capito, ancora una volta, che il calcio è un’azienda atipica. Ma come ogni altra azienda, con l’uomo solo al comando, è destinata a fallire. Il Borgorosso non ha mai vinto una Champions e nemmeno uno scudetto, se è per questo. Occorre fidarsi e delegare. Scegliere al meglio i propri dirigenti. Ecco in rapida successione: Giovanni Manna, dalla Juventus. Lele Oriali e poi Antonio Conte. Un all-in di figure importanti. Di gente abituata alla vittoria più come abitudine che come felice eccezione. Qualche pensoso ha parlato di juventinizzazione del Napoli. È normale, adesso, che a Napoli si possa tornare a sognare. Anche perché Aurelio De Laurentiis, stavolta, ci tiene a mostrare, con le parole oltre che coi fatti, di aver imparato la lezione di quest’ultimo, disastroso, campionato: “Sono molto orgoglioso che il nuovo allenatore del Napoli sia Antonio Conte. Antonio è un top coach, un leader, con il quale sono certo che potrà partire quella rifondazione necessaria dopo la conclusione del ciclo che ci ha portato a vincere lo scudetto lo scorso anno dopo molte stagioni ai vertici del calcio italiano. Oggi si apre un nuovo importante capitolo della storia del Napoli”.

Da parte sua, Antonio Conte si dice carico e pronto a gettarsi anima e cuore nella nuova avventura: “Il Napoli è una piazza di importanza globale. Sono felice ed emozionato all’idea di sedermi sulla panchina azzurra. Posso promettere certamente una cosa: farò il massimo per la crescita della squadra e della società. Il mio impegno, insieme a quello del mio staff, sarà totale”.

Fateci caso. Né in quelle di Adl, né nelle parole di Antonio Conte c’è l’ombra della retorica stucchevole che abbonda nel racconto calcistico contemporaneo. Certo, ci sono le formule, quelle solite, che rappresentano la chiamata alle armi ai tifosi. E guai se mancassero. Conte, soprattutto, ha affermato cose che appaiono in netta controtendenza con l’idea che gli storyteller del Napoli hanno della loro squadra e della loro città: altro che Mergellina, sole, pizza e mandolino, gli azzurri sono “globali” e non devono nascondersi dietro il barocco del calcio di provincia o, peggio ancora, del futbol anti-sistema. Insomma, poco populismo, poca demagogia. Tanta sostanza dopo un anno vissuto pericolosamente.

Se proprio occorre pagare dazio alla storia e alla cultura napoletana, se per forza bisogna citare qualche Mano de Dios, ebbene forse Conte può vincere, anche a Napoli, se farà come il regista Capuano nel film di Sorrentino. Se con il suo carattere contesterà, coi fatti, tutte le Yulie barocche, autoreferenziali, noiose e sempre uguali a loro stesse, spingendo i suoi calciatori a dare alla città qualcosa da raccontare, da sognare.


Torna alle notizie in home