Politica

ANTONIO GUIZZETTI: “Basta con il Palazzo il Pd bruci e rinasca come l’Araba Fenice Vincerò come Obama”

di Edoardo Sirignano -

ANTONIO GUIZZETTI ECONOMISTA


“Il mio Pd come l’araba fenice. Bisogna ricostruirlo dalle ceneri”. A dirlo Antonio Guizzetti, economista e nuovo candidato alla segreteria dem.
Ritiene di essere la mina vagante del congresso?
Non sono solo l’outsider del Pd, ma dell’intera politica nazionale. Ho idee chiare e soprattutto una visione, frutto di un’esperienza trentennale all’estero che voglio mettere a disposizione per una segreteria dem innovativa, riformatrice e progressista. Fino a ora, nel dibattito congressuale, sento solo discutere di alleanze, correnti e strategie. Nessuno parla di proposte, né auspica un rinnovamento della dirigenza. Questa, però, è l’unica strada per ricostruire una sinistra di governo.
Possiede già la tessera dem?
Da qualche anno sono iscritto alla Cgil, mentre da dicembre lo sono al Pd. Ho preso la tessera prima di Schlein.
Non ha paura di confrontarsi senza apparati?
La mia candidatura non è il risultato di un gioco di palazzo. Non voglio garantire equilibri di potere. Nessun capocorrente mi ha avvicinato. Bettini, D’Alema, Franceschini e via dicendo non mi hanno consigliato nulla. Il futuro, anzi, ritengo passi proprio dal rompere un circolo vizioso di intrallazzi.
Gli artefici della sconfitta del 25 settembre avevano il dovere di fare un passo indietro?
Dopo una batosta storica, ho sentito dire da Letta che avrebbe fatto bene al Pd stare all’opposizione. I sondaggi, invece, dicono che perdiamo consensi. Siamo passati dal 19% d al 14%. Altro che risalita. Il segretario vive in un mondo tutto suo.
Qualora dovesse prendere il suo posto. Cosa farà?
Ricostruirò il partito sulla base di valori condivisi per dare benessere alle persone. Oggi nessuno sa cosa è il Pd, quali sono i suoi obiettivi, perché è diverso dalle altre forze in campo. Pur essendo governati da una destra, che priva gli italiani di libertà fondamentali e ricorda tempi brutti, non sento un chiaro messaggio progressista.
Dovendo chiudere un’alleanza, chi preferisce tra Conte e Renzi?
Il Pd, negli ultimi dieci anni, ha cambiato quattro segretari, di cui due sono usciti per fondare partiti che non hanno mai superato la barriera del 3%. Detto ciò, ritengo che il primo Renzi, che ho conosciuto, rappresenti un’ondata di freschezza e novità, una speranza riformatrice. Non le nascondo che ho qualche piccolo rimorso per non aver appoggiato il suo referendum. Conte, invece, è il classico paracadutato che si trasforma da avvocato con il fazzolettino in barricadiero. A parte cavalcare bene il reddito di cittadinanza e gli interessi del suo partito, ritengo sia a capo di un qualcosa senza riferimenti culturali. Non vedo politiche di rottura.
Qualcuno del Nazareno l’ha mai contattata per un confronto?
A Washington, dove vivevo, passavano grandi uomini, compresi politici, banchieri e imprenditori. Non le nascondo, che essendo iscritto all’Aire, il Pd voleva piazzarmi nel collegio nord-americano. Si trattava, però, di una presa in giro. Senza una base di voti canadesi, era impossibile l’elezione. Hanno solo tentato di bruciarmi. Tutti sanno come funziona con le circoscrizioni estere. Nel Sud America vince chi proviene dall’Argentina, in Asia chi vive in Australia e in Europa chi lavora in Svizzera.
Da banchiere, ha mai avuto un rapporto con Draghi?
Non sono un suo uomo. L’ho, però, conosciuto agli inizi degli anni Novanta e posso dire che mi ha sorpreso molto, soprattutto per come difendeva gli interessi del Paese. Posso dire di essermi sempre confrontato con una persona leale, disponibile, aperta e simpatica, con cui condividevamo diversi interessi. Nel 1992-1993, ad esempio, ho apprezzato molto il lavoro sul debito estero dell’Africa. Craxi fece una scelta intelligente a metterlo a capo di un gruppo, il cui lavoro è stato ritenuto degno di nota ovunque.
Per quanto riguarda la politica estera, a quale presidente Usa si ispira?
Ho seguito cinque elezioni presidenziali americane. La prima ad appassionarmi è stata quella dove ha prevalso Bill Clinton, giovane senatore dell’Alaska che riesce a spuntarla contro ogni pronostico. Quella di Barack Obama, poi, mi ha segnato. Quest’ultimo è riuscito a battere i potentati democratici solo grazie alla rete. La vera mossa vincente è stata mettere insieme, sin dal principio, un’équipe formata dal fondatore di Facebook, da un giornalista della Cnn e da un uomo di pubbliche relazioni. Da lì è iniziata la scalata verso la Casa Bianca.
Copiando Obama, può succedere a Letta?
Nel Pd esiste non esiste un regolamento molto chiaro per formalizzare le candidature. Non so se tutti, ad esempio, hanno presentato le 4mila firme. Facendo una campagna social, comunque, l’obiettivo è alla portata. Prenderò spunto da Obama nel tenere lontane le lobby, il marcio, il sistema di potere che ha distrutto il partito Non sarò quello delle promesse non mantenute.
Come vede il suo sfidante Bonaccini?
È un bravo amministratore, che ha operato nella sua Regione. Questo, però, non basta a essere un buon segretario. Detto ciò, non mi spaventa sfidare nessuno. Le faccio un esempio. Benifei, capo dei dem a Bruxelles, è venuto a Bergamo per parlare di strutture, alleanze e mozioni. Non si è espresso, invece, su idee, visione e contenuti. Altro che giovani e novità.
C’è un politico italiano in cui si riconosce?
Negli ultimi tempi, ho apprezzato il lavoro dell’ex ministro Barca, pur essendo poco citato dai giornali. Mi ha impressionato, in modo positivo, anche Cuperlo. Sarà un ottimo avversario. La classe dirigente di qualche anno fa, comunque, non può essere paragonata a quella attuale. Il livello di Berlinguer è irraggiungibile.
È possibile ancora ricostruire la sinistra?
Il Pd deve tornare a essere partito della gente e non delle Ztl. A dirlo un banchiere. Bisogna capire quale è la sinistra da prendere come riferimento, quella di Mitterand, di Blair, di Schroeder o quella di Marx e Trotsky.
Barca, che lei ha citato, in un’intervista al “Domani”, ritiene ancora possibile ancora unire il fronte progressista prima delle regionali. E’ d’accordo?
Le alleanze si costruiscono sui programmi e non sulle persone. Sono stanco di sentire che bisogna chiudere un’intesa per vincere in Lombardia o nel Lazio, senza condividere nulla. Il punto di partenza è un metodo, che allo stato non esiste. Le stesse correnti possono essere utili se dicono qualcosa. Il problema che oggi servono solo alla spartizione delle poltrone.
La soluzione, quindi, è scogliere il Pd, come ha consigliato Bertinotti…
Bisogna rifondarlo, ricostruirlo dalle ceneri. La sinistra mai è arrivata così in basso. Il Pd deve fare come l’araba fenice, ovvero morire per poi risorgere.

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