Cultura & Spettacolo

Arianna tra musica e teatro: “porto in scena due donne insieme”

di Nicola Santini -


 

Fino a domani sarà in scena al Teatro Brancaccio di Roma con il musical “Vlad Dracula”, nato dalla volontà di Ario Avecone. Arianna, cantante, attrice e conduttrice lanciata nel 1990 dalla Disney, in questo nuovo spettacolo campione al botteghino porta in scena il doppio ruolo di Mina-Elisabeth. E in attesa di rivederla sul grande schermo nel film Le ragazze non piangono, tra i più applauditi dell’ultima edizione della kermesse Alice nella città, Arianna si racconta a L’Identità.
Arianna, come nasce il tuo coinvolgimento nel musical “Vlad Dracula – Il musical”?
In passato avevo già avuto modo di collaborare con Ario Avecone e in ogni occasione avevo avuto modo di apprezzare il suo talento di visionario e quella sua capacità di sperimentare, dando vita a progetti interessanti e differenti da tutti gli altri. Di conseguenza, quando mi è stato proposto questo progetto, ho subito accettato con entusiasmo.
Come hai costruito il ruolo di Mina?
Per dar vita a Mina, sono dovuta tornare indietro con gli anni, a quando avevo 25 anni. D’altra parte, Mina è una giovane donna piena di speranze, che vuole costruirsi una famiglia con il suo Jonathan. Per questo musical, però, sono due i ruoli che ho dovuto costruire, visto che nel secondo atto prende forma quello di Elisabeth, una donna vissuta 400 anni prima di Mina, dotata di un enorme coraggio, senza paura, al punto di lanciarsi da una torre per amore.
Dracula è un personaggio cult. Il vostro in cosa differisce rispetto alle precedenti versioni?
Il nostro Vlad è un vampiro moderno. Non succhia il sangue ma il tempo. E anche l’energia delle persone. Il nostro è un Dracula che inizialmente può sembrare cattivo ma poi quando ci si rende conto che tutto quello che ha fatto, lo ha fatto per amore, inevitabilmente cambia la percezione che si ha di lui…
Quali ricordi conservi dei tuoi inizi professionali?
La prima cosa che mi vengono in mente sono l’entusiasmo, la leggerezza e l’incoscienza di ritrovarsi di fronte al grande pubblico. Ho cominciato a fare questo mestiere giovanissima e devo dire che, trascorrere intere giornate dietro a lezioni di danza o di canto non mi hanno fatto rimpiangere il fatto che non riuscissi a giocare con gli amici in cortile. Perché sin da bambina avevo già le idee chiare sul fatto che lo spettacolo fosse la mia vita.
A breve tornerà il Festival di Sanremo. Quale ricordi conservi della tua partecipazione?
Ho partecipato al Festival nel 1999 e gareggiavo nella categoria Giovani. Il brano s’intitolava “C’è che ti amo” ed era stato scritto per me da Valeriano Chiaravalle, che in quell’occasione mi aveva anche diretta. Quella canzone d’amore Valeriano l’aveva dedicata a me, perché stavamo insieme. Di conseguenza è facile intuire quanto tutta quella magia fosse ulteriormente amplificata. Insieme, io e Valeriano eravamo sul palco dell’Ariston a vedere esauditi i nostri sogni.
Considerata la tua poliedricità, al Festival ci torneresti come cantante in gara, conduttrice oppure ospite?
Mi piacerebbe tornare in gara. Ma non sarebbe male tornarci come coconduttrice.
Ti vedremo, prossimamente, nel cast del film Le ragazze non piangono: cosa puoi anticiparci?
In questo film mi vedrete vestire i panni della mamma di una ragazza che non ha ancora superato la perdita di suo padre e non accetta che l’altro genitore possa essersi rifatto una vita.
E a livello discografico cosa bolle in pentola?
Ho due singoli nel cassetto: uno dovrebbe uscire in primavera mentre l’altro in estate. E non vedo l’ora che il pubblico possa ascoltarli.
Vivi tra l’Italia e gli States: quali sono le principali differenze che hai riscontrato nel modo di lavorare?
In realtà, visto che gli americani sono rinomati per la loro professionalità, pensavo che rispetto agli italiani fossero ben più precisi. Ed effettivamente in alcuni campi lo sono. In altri, invece, ho avuto modo di constatare delle défaillance e ciò mi ha dato la conferma che, come recita quel vecchio detto, “tutto il mondo è paese”. Per quanto riguarda lo spettacolo, nello specifico, in America il mestiere dell’artista non viene considerato un hobby, come succede da noi.

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