Ambiente

Aumentano in Italia le cave dismesse e non più utilizzate

di Redazione -


Legambiente: “Quadro normativo inadeguato e gestione 

delle attività senza controlli pubblici trasparenti”

 

La crisi del settore delle costruzioni iniziata nel 2008 si è fatta sentire: rispetto al 2017, sono diminuite quelle attive, erano 4.752, ma aumentano quelle dismesse o abbandonate, ben 727 in più, con un numero che risulta davvero impressionante, anche perché solo una piccola parte vedrà un ripristino ambientale. E’ quanto emerge dal Rapporto Cave 2021 di Legambiente. Il quadro aggiornato evidenzia un calo delle cave autorizzate (attive e autorizzate ma in assenza di attività estrattiva in corso) che va di pari passo con la crisi del settore edilizio: sono 4.168,  invece aumentano rispetto alle 13.414 del 2017. Le cave di inerti e quelle di calcare e gesso rappresentano oltre il 64% del totale delle cave autorizzate in Italia, percentuale che supera l’81% se si analizzano le quantità estratte. Più basse le quantità estratte di materiali di pregio, come i marmi, ma la crisi si è fatta sentire meno per le esportazioni verso Stati Uniti e Medio Oriente. Vengono estratti annualmente 29,2 i milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia per le costruzioni, 26,8 milioni di metri cubi di calcare e oltre 6,2 milioni di metri cubi di pietre ornamentali. Legambiente denuncia canoni irrisori e un quadro normativo inadeguato, una pianificazione incompleta e una gestione delle attività estrattive senza controlli pubblici trasparenti. Le entrate percepite dagli enti pubblici sono estremamente basse eil  totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, è di 17,4 milioni di euro, a cui bisognerebbe sommare le entrate della Sicilia che variano in funzione della quantità cavata, oltre a una piccola quota derivata dall’ampiezza dei siti estrattivi, come avviene in Puglia. Se venisse applicato un canone, come avviene in Gran Bretagna, pari al 20% dei prezzi di vendita, gli introiti delle Regioni per l’estrazione di sabbia e ghiaia salirebbero a 93,5 milioni circa. Il settore è governato a livello nazionale da un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927. Da allora non vi è più stato un intervento normativo che determinasse criteri unici per tutto il Paese, mancano un monitoraggio nazionale o indirizzi comuni per la gestione e il recupero. Con il Dpr 616/1977 le funzioni amministrative relative alle attività di cava sono state trasferite alle Regioni, e gradualmente sono state approvate normative regionali a regolare il settore. L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione, denuncia Legambiente. Sull’impatto ambientale delle cave è intervenuta l’Ue a imporci regole più attente; con la Direttiva europea 85/337 si è stabilito che l’apertura di nuove cave deve essere condizionata alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. Ma in Italia l’obbligo vale solo per cave con superficie maggiore di 20 ettari, per cui la norma è il più delle volte aggirata.  D’altra parte, la strada è segnata dalle direttive europee e dalle leggi nazionali: bisogna eliminare tutte le barriere al recupero e riciclo dei materiali per il loro utilizzo nelle opere pubbliche e nei cantieri privati. Purtroppo, larga parte dei rifiuti da demolizione e ricostruzione oggi finisce in discarica e siamo ben lontani dall’obiettivo del 70% di recupero fissato al 2020 dall’UE. Eppure, gli studi evidenziano come la filiera del riciclo in edilizia garantisca il 30% di occupati in più a parità di produzione. Tante le buone pratiche raccontate nel Rapporto Cave di Legambiente perché possiamo trasformare  i rifiuti provenienti dalla siderurgia e dall’agricoltura in materiali da usare nei sottofondi stradali e nella creazione di mattoni. Si possono creare intere filiere di materiali ad impatto zero o rifare centinaia di km di superfici stradali, piste ciclabili, aeree aeroportuali, con materiali riciclati al 100%.  Per Legambiente sono tre gli obiettivi principali da raggiungere: rafforzare la tutela del territorio; stabilire un canone minimo nazionale per le concessioni di cava; ridurre il prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti provenienti dall’edilizia e dal riciclo di rifiuti da utilizzare in tutti i cantieri. Poi, serve una filiera in cui siano le stesse imprese edili a gestire il processo di demolizione selettiva degli inerti, provenienti dalle costruzioni in modo da riciclarli invece che conferirli in discarica. Per riuscirci occorre rendere trasparente e tracciabile il percorso dei rifiuti e spingere nelle gare sia il recupero dei materiali che l’utilizzo di quantità minime provenienti dal riciclo.

Jacopo Esposito

 


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