Attualità

Austerità, tracciamento, censura: ecco cosa preparano le élite a Davos

Una dirigente di banca norvegese chiede “sofferenze” per il clima, Alibaba prospetta un’impronta di carbonio per gli utenti, una politica australiana vuole chiudere la bocca ai non allineati

di Federico Cenci -


“Il futuro è costruito da noi”. Così un prosopopeico Klaus Schwab ha introdotto lunedì a Davos il World economic forum (Wef) di cui è fondatore e direttore. In effetti, ascoltando i discorsi di alcuni dei partecipanti all’evento clou delle élite globali riportati su Twitter dal giornalista indipendente Andrew Lawton, sembra proprio che l’ambizione aleggiante nella cittadina svizzera sia quella di modellare i destini della popolazione mondiale secondo un’agenda sovranazionale. Uno dei temi chiave del consesso è stata la transizione energetica, su cui è intervenuta, tra gli altri, Kjerstin Braathen, Ceo di Dnb Asa, il più grande gruppo di servizi finanziari della Norvegia. In uno dei panel di Davos, parlando delle piccole e medie imprese, la dirigente d’azienda scandinava ha detto che il passaggio verso le cosiddette energie pulite comporterà delle “sofferenze”, dovute a “mancanza d’energia” e “pressioni inflazionistiche”. Tuttavia, secondo la Braathen, “ne varrà la pena” perché altrimenti non ci saranno “affari, economia, welfare”. Certe enunciazioni sembrano coincidere con un documento del luglio 2020 del Wef nel quale si fa riferimento a una “sostenibilità” ambientale e finanziaria da perseguire attraverso “cambiamenti significativi nello stile di vita” delle persone. Cambiamenti che consistono in maggiore austerità, ma rigorosamente non ai danni dei super-ricchi che partecipano al summit di Davos, bensì a discapito della classe media. Del resto, come insegnano i due anni di pandemia, a pagare il conto più salato delle misure restrittive è sempre l’uomo comune. A proposito di paragoni con le politiche di contrasto al Covid, in un altro panel di Davos c’è chi si è vantato di sviluppare un dispositivo in carbonio capace di tracciare i viaggi, gli acquisti e i cibi degli utenti. Si tratta di J. Michael Evans, presidente di Alibaba Group, colosso cinese del commercio elettronico. “Un localizzatore individuale dell’impronta in carbonio”, lo ha definito. L’impronta di carbonio, conosciuta come “carbon footprint” è un parametro utilizzato per stimare le emissioni di gas serra causate da un prodotto, da un evento o anche da un individuo. “Non è ancora pronto, ma è qualcosa su cui stiamo lavorando”, ha aggiunto Evans. Il dispositivo servirebbe dunque ai singoli utenti per capire quanto le loro attività quotidiane contribuiscono all’inquinamento globale, una sorta di termometro della qualità del proprio stile di vita green-friendly. Resta tuttavia da capire se queste informazioni digitali resteranno private o verranno in qualche modo acquisite anche da Alibaba. Così come resta da capire quanto ancora potremo godere di un certo livello di libertà d’espressione. I tentativi di censura nei confronti delle opinioni non allineate al politicamente corretto sgorgano da più parti: dai social, dalle intellighenzie progressiste, da alcuni politici. Su questo tema a Davos si è espressa Julie Inman Grant, commissario per la sicurezza elettronica dell’Australia. Secondo lei è necessario “ricalibrare” una serie di diritti “che si stanno manifestando sul web”, tra cui quello di parola. Ovvero, occorre censurare: questa la ricetta dell’esponente del governo australiano cucinata in quel di Davos. Eloquente e laconica la risposta che su Twitter ha offerto l’account degli esponenti repubblicani statunitensi alla commissione della Camera sulla magistratura al video in cui la Grant esprime il suo punto di vista censorio: “No”. Evidentemente c’è ancora qualcuno che non è disposto ad appoggiare questa agenda globalista fatta di austerità, tracciamento e censura.


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