Politica

Autonomia: Caldoro, si disegna l’Italia del futuro

di Giuseppe Ariola -

Stefano Caldoro


L’Autonomia differenziata ripiomba nel dibattito politico dopo che la commissione Affari Costituzionali alla Camera ha avviato l’iter dell’esame del testo. Si entra dunque nel vivo della riforma già approvata al Senato. Ne parliamo con Stefano Caldoro, Governatore della Campania dal 2010 al 2015, oggi capo dell’opposizione in consiglio regionale, e grande esperto della tematica, sulla quale ha scritto il libro ‘Autonomia, Regionalismo, Macroregione’.

Presidente Caldoro, l’Italia soffre di un atavico divario territoriale. Perché non si riesce a colmare?

Certamente dagli anni ’60 in poi abbiamo assistito a una distribuzione della spesa pubblica sempre più disomogenea. Basti pensare che un paese come la Germania, che partiva da un gap ben più grave del nostro essendo diviso non solo politicamente, ma anche fisicamente, in due stati distinti e decisamente molto distanti, ha conquistato nel tempo indicatori decisamente migliori dei nostri. In Italia, purtroppo, il meccanismo perverso della ‘spesa storica’ ha avvantaggiato – e continua a farlo – le aree più ricche e sviluppate a scapito di quelle che hanno del terreno da recuperare.

Ma quello della spesa storica non è un parametro utile a sostenere finanziariamente le regioni in base agli effettivi fabbisogni?

Solamente in teoria, nella pratica gli effetti di questo meccanismo comportano esattamente il risultato opposto. Faccio un esempio. Un comune che ha più asili nido di un altro continuerà a ricevere risorse per garantire il numero di posti dei tanti bambini che ospita già. Viceversa, una realtà che parte con meno strutture per l’infanzia o addirittura ne è carente, secondo il principio della spesa storica, non ha alcuna chance di incrementare il numero di posti attraverso i soldi pubblici. E’ una dinamica perversa che agevola chi sta meglio e penalizza i più deboli. Una stortura che non offre alcuna possibilità di crescita a quei territori che hanno l’esigenza concreta di fornire maggiori servizi.

Come si può ovviare a questo stato di fatto?

C’è da dire che nel testo sull’Autonomia approvato al Senato, soprattutto grazie al lavoro del Comitato Clep guidato dal professore Sabino Cassese, per la prima volta dal dopoguerra sono stati definiti i Livelli essenziali di prestazione (Lep). In sostanza, tornando all’esempio degli asili nido, si tratta di una sorta di ricognizione del numero di posti ‘essenziale’ per garantire il diritto all’assistenza. Un modo per superare gli svantaggi del calcolo basato sulla spesa storica.

Quindi le attuali ingiustizie territoriali denunciate da più parti non sono imputabili a questa riforma.

Assolutamente no. Quello di cui si parla è un progetto che non ha ancora avuto applicazione pratica, non può quindi essere additato come responsabile della drammatica situazione attuale, né delle accentuate differenze tra le aree più ricche e quelle più povere. Certamente, sarà fondamentale vigilare sulla sua corretta applicazione per evitare effetti distorsivi che potrebbero risultare dannosi sul fronte del divario territoriale.

I timori della Conferenza Episcopale campana non trovano quindi fondamento al momento?

Direi di no. I timori di monsignor Di Donna, che si è espresso per conto dell’intera Conferenza Episcopale Campana non possono essere messi in diretto rapporto con il progetto dell’Autonomia differenziata su cui lavora il Parlamento. E’ un allarme che non può essere rivolto a qualcosa, l’Autonomia differenziata, che non ha avuto, ad oggi, nessuna attuazione concreta E’ opportuno, questo si, tenere alta l’attenzione sui processi che seguiranno all’approvazione definitiva della riforma, ma non c’è un pericolo di allargare il divario territoriale sic et simpliciter con questo provvedimento, piuttosto i veri timori dovrebbero essere rivolti all’attuale sistema.

Quello del ministro Calderoli è un testo che si inserisce in un più ampio progetto di riforme. Che idea si è fatto dell’azione del governo finora?

Il governo in carica ha il delicato compito di disegnare l’Italia di domani. Per farlo occorre riuscire a conciliare la difesa della sovranità nazionale in politica estera con l’imprescindibile necessità di ammodernare il sistema paese, attraverso le riforme, per renderlo adeguato alle esigenze attuali, mutabili nel tempo. Sul primo punto Giorgia Meloni ha raggiunto risultati positivi incontestabili, un presidente del Consiglio che non ha sbagliato un colpo. Sul secondo sta facendo altrettanto bene, anche cercando di interpretare il sentiment dei cittadini. L’idea di far procedere di pari passo le due riforme su cui sono impegnati governo e Parlamento, premierato e Autonomia differenziata, va precisamente in questa direzione.


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