Cultura & Spettacolo

Avete rotto con i remake stranieri

di Adolfo Spezzaferro -


Siamo alle solite: un remake di cui non si sentiva il bisogno, una pellicola spacciata per divertente se non addirittura “afrodisiaca” (come recita improvvidamente il sottotitolo), che si rivela una commedia che non sa cosa diventare, senza far ridere più di tanto né minimamente riflettere. È il caso di Vicini di casa, italica versione dello spagnolo Sentimental (2020). L’imbroglio peraltro nel primo finesettimana di programmazione ha funzionato: oltre a chi vi scrive, anche tanti altri spettatori sono incappati in questo infelice prodotto cinematografico. Sulla carta avrebbe potuto averei i numeri per funzionare almeno un po’ di più: al di là dello sceneggiatore e regista Paolo Costella, non di certo alla sua prima commedia, troviamo Giacomo Ciarrapico coautore dell’adattamento italiano. Stiamo parlando dell’autore di Boris, sia la serie che il film: qualcosa ci dice che in quest’ultima scrittura abbia miracolosamente perso il suo tocco miracoloso. Lo stesso si può dire per il cast: Claudio Bisio, Vittoria Puccini, Valentina Lodovini, Vinicio Marchioni. Ma il mix di questi ingredienti non si amalgama e il risultato è un film dimenticabilissimo, peraltro pure privo di ritmo e a tratti molto noioso. Un’ora e mezza scarse percepite come almeno due ore, per intenderci.
La trama, dal tipico impianto teatrale – l’originale spagnolo è infatti un adattamento della pièce del regista – è una versione a metà strada tra Carnage (lo scontro a quattro) e Perfetti sconosciuti (di cui Costella è anche coautore della sceneggiatura). Ma non ha minimamente il mordente (né ovviamente la caratura del cast del film di Polanski) di Carnage né l’ingranaggio perfetto del plot di Perfetti sconosciuti, peraltro una delle sceneggiature più vendute all’estero e che vanta diversi remake. Un vorrei ma non posso, insomma. Anche per evidenti limiti oggettivi.
La storia è semplicissima: una coppia in crisi che non ha più rapporti fisici da una vita, con una figlia piccola che c’è ma non si vede, perché dorme da un’amichetta, invita a cena i vicini che fanno tantissimo rumore e di continuo con le loro cavalcate tra le lenzuola. Giulio (Bisio), ex pianista jazz che ora insegna svogliatamente composizione al Conservatorio di Santa Cecilia, vorrebbe evitare la cena – idea della moglie Federica (Puccini), che a quanto pare dovrebbe gestire un negozio – ma alla fine accetta proprio per poter stigmatizzare gli amplessi ad alto volume. Gli ospiti sono Laura (Lodovini), psicologa, e il suo compagno Salvatore (Marchioni), pompiere, sul lavoro e non solo. Di loro due si scoprirà che fanno sesso di gruppo e sono scambisti. E si scoprirà che sono venuti a casa di Giulio e Federica per proporre una cosa a quattro. Il film invece, pur indugiando fin troppo sui temi sessuali senza stimolare né divertire più di tanto, vira su uno psicodramma/terapia di coppia. Forse Giulio e Federica non si possono più salvare dalla fine della loro relazione, nemmeno facendo nuove esperienze sessuali. Originale, eh?
Il film non funziona per due ordini di motivi: la trama è confusa, incompleta, dal finale molto frettoloso e buttato lì – più che aperto, è praecox (sì, il riferimento sessuale è voluto). Gli attori non funzionano, soprattutto tra di loro. Posto che alla Lodovini le si perdona tutto per la sua bellezza totalizzante, è anche la più convincente dei q uattro, perché sa essere credibile nella doppia veste di psicologa e praticante di orge (fino a dieci persone, come viene specificato nel film). Funziona poco Marchioni nel suo ruolo di pompiere altamente performante, tutto sorrisoni ammiccanti alternati a frasi fatte e posture da peace and love. Al netto dell’antipatia del personaggio, passabile la Puccini come moglie insoddisfatta a letto e piena di pruriti erotici. Chi invece ha proprio stufato è Bisio: all’ennesimo ruolo identico a tutti i precedenti, le sue battute ironiche e sarcastiche (con cui Giulio si fa scudo dalla vita e dall’amore), non fanno più ridere e sono prevedibili – arrivano come un rigore per la Juve, insomma. Con tutta l’antipatia del caso.
Ciò che più delude infine è il perbenismo di fondo, anche nell’affrontare tabù sessuali e il concetto di coppia aperta, per di più mascherato con la scusa della commedia, dove i borghesi retrogradi come Giulio minimizzano con battute per uscire dall’imbarazzo, ma sotto sotto invidiano le coppie libere. Un cliché che lascia sgomenti.
Con tanti bravi sceneggiatori italiani, con tanti soggetti pronti ad essere trasformati in ottimi film, i produttori scelgono l’usato straniero perché ritenuto sicuro. Che delusione.


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