Avetrana, se l’indignazione diventa un boomerang
Avetrana, mi interesso alla questione della serie di Disney+ il cui nome è stato cambiato da “Avetrana. Qui non è Hollywood” a “Qui non è Hollywood”, ma nel mentre mi chiedo dove sia il comune in questione, per poi scoprire che si trova in provincia di Taranto. Tutti conosciamo la località per il delitto di Sarah Scazzi, per lo zio dal cappello inconfondibile, Michele Misseri, e per tutta la famiglia, che, insieme, dal 2010 a oggi hanno occupato i servizi dei nostri telegiornali e programmi di approfondimento. ll sindaco aveva espresso preoccupazione per il potenziale effetto diffamatorio della serie, ma l’unica triste e cruda verità è che Avetrana ha fatto parte di quello che possiamo chiamare “turismo dell’orrore”. Il primo cittadino forse dimentica che della sua città si è parlato solo “grazie” a quel terribile fatto di cronaca e che ne ha tratto un vantaggio sia in termini reputazionali (anche se negativi, ma ricordatevi quanto vale il “purché se ne parli”) che economici, visto il pellegrinaggio dei curiosi, cronisti e giornalisti che c’è stato nel corso del tempo. E, soprattutto, non è forse la scelta di creare tanto clamore attorno a una serie, portando la casa di produzione in tribunale, una forma di pubblicità collaterale? Anche perché potrà pure non esserci nel titolo, ma la serie racconta proprio l’omicidio di Sarah che, a quindici anni fu uccisa e gettata in un pozzo il 26 agosto 2010. Dato che il passato non si può cancellare e che la serie in questione si occuperà di ricostruire un caso di nera che ha segnato la nostra epoca, cosa avrebbero dovuto fare? Ambientarlo all’estero? È disfunzionale il meccanismo in questione, perché altro non porta che a una morbosa e maggiore curiosità in utenti anche potenzialmente disinteressati. E, ancora, da quando deve essere chiamato in causa un giudice per cambiare il nome di una serie televisiva? Non solo ritengo folle la decisione presa, perché i produttori non hanno inventato nulla, ma si sono attenuti alla veridicità di fatti comprovati e consolidati, ma così facendo si rischia di creare un dannoso precedente in cui la giustizia si intromette in un campo fantasioso e creativo come quello della fiction che, spesso e volentieri si occupa anche di narrazioni surreali. Se, muniti di bavaglio, vogliamo mettere a tacere anche la storia, la cronaca, cosa che non mi stupirebbe, andremo verso una dittatura linguistica sempre più preoccupante i cui segni e le cui derive non potranno che essere devastanti.
Per fortuna, però, l’unica cosa che ancora non si può proibire è il pensiero, e le sinapsi, piaccia o no, continueranno a lavorare. E nell’epoca del politicamente corretto è proprio il nostro cervello l’unica arma che possiamo e dobbiamo sfoderare.
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