Politica

PRIMA PAGINA – Balle al centro, le strane alleanze per salvarsi in Europa

di Domenico Pecile -


Era la fine giugno 1983 quando l’allora direttore e fondatore del Manifesto Luigi Pintor, titolò a caratteri cubitali “Non moriremo democristiani”, frase che perse il “Non” iniziale diventando poi il primo film del collettivo Il Terzo segreto di Satira. E se non democristiani, oggi – ne sono convinti i vari Antonio Tajani, Maurizio Lupi, Ignazio Messina, Matteo Renzi e Carlo Calenda – moriremo perlomeno tutti centristi nelle due accezioni: la popolare e la democristiana. La voglia di centro, contro i cantori del bipolarismo, riemerge come un fiume carsico; e adesso quel corso d’acque è stato rinvigorito dalle elezioni europee. Tutti o quasi divisi alla meta con l’obiettivo di superare la fatidica soglia del 4%. Sì, nell’ingorgo centrista la lotta si preannuncia fratricida, tra alleanze, strappi, ricomposizioni e ambizioni.

Tutti i leader sono già in trincea. Il più agguerrito pare il leader di Azione che ieri, dopo avere bacchettato per l’ennesima volta la Schlein (“Quando ha vinto le primarie tutti i giornali hanno scritto che il mondo era cambiato. Dopo due mesi, passate le amministrative, la Schlein era già finita”) torna ad attaccare il leader-rivale di Italia viva. Dice Calenda: “Non credo che Renzi si candiderà, perché il codice etico del parlamento europeo non gli consentirebbe di gestire alcun dossier, perché i conflitti di interesse specialmente con Stati stranieri, vengono presi molto sul serio”.

E allora cosa farà l’ex premier? Calenda non ha dubbi e prima si dice certo che alla fine “Renzi non si candiderà” e poi aggiunge che “farà un passo indietro per fare una lista comune, ma ho già vissuto tutto questo, non lo posso riproporre agli elettori, perché non ci crederebbero”. La replica a Calenda (che ieri ha annunciato l’ingresso in Azione dell’ex pretoriano di Renzi, Ettore Rosato) è affidata alla coordinatrice nazionale di Italia viva, Raffaella Paita: “Matteo Renzi è già in campo: alle europee corriamo e ci mettiamo la faccia”. Poi la semi-apertura: “Con la piena disponibilità al dialogo con tutti”. Veleni inevitabili, quasi da copione. Che tuttavia non paiono ancora affossare la possibilità di un cartello comune Calenda-Renzi, tanto necessario per assicurarsi la presenza a Bruxelles, quanto però precario e destinato a frantumarsi il giorno dopo le elezioni europee.

Chi, invece – forte dei sondaggi elettorali e del rinnovato entusiasmo dentro il partito – sente di avere il vento in poppa è Antonio Tajani che non solo punta a superare il 10% alle europee (“e alle politiche puntiamo al 20%”), ma vuole farlo, anche se non lo può affermare, pure a scapito della Lega. È vero che dichiara di augurarsi che “mai un partito di centrodestra possa perdere consensi”, ma è altrettanto certo che Forza Italia fiuta il malcontento di parte del Nord verso la politica radicale di Salvini che sicuramente ha tradito vasti settori soprattutto dell’industria che lo aveva appoggiato, settori che oggi non vedono di buon grado sia il radicalismo di Salvini che guarda in Europa alla destra estrema, sia al flop del suo partito nazionale che al Sud non ha dato i frutti sperati. “Non guardiamo ai nostri alleati – tranquillizza tuttavia Tajani – ma a quello che dobbiamo fare noi. Forza Italia ha il grande compito di diventare un punto di riferimento serio e affidabile per il primo partito italiano che è quello del non voto”.

E nell’ingorgo centrista fa la vice grossa anche Maurizio Lupi, che ieri ha annunciato il patto federale tra il suo partito (Noi moderati) e quelli dell’Italia dei valori, con l’obiettivo “di rafforzare la posizione centrista e moderata del partito, insistere sui territori per far riavvicinare i cittadini alla politica”. Lupi ha poi annunciato la sua discesa in campo per le europee. “Io mi candido certamente – ha precisato – è sempre stati così, i leader si mettono in gioco ed è giusto per questo che pure Meloni lo faccia”.


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