Politica

Balneari, trovato l’accordo sugli indennizzi (ma il calcolo viene rimandato)

Centrodestra di nuovo spaccato: FdI boccia l’intesa sottoscritta da Lega e FI

di Adolfo Spezzaferro -


Trovata l’intesa nella maggioranza sulle concessioni balneari: c’è l’accordo sugli indennizzi, che saranno calcolati con un apposito decreto. Si è optato dunque per la definizione dei risarcimenti, che saranno a carico di chi subentrerà nella concessione, al successivo decreto legislativo con il quale il governo dovrà definire le regole per le nuove gare. Ora l’emendamento passerà alla commissione Bilancio del Senato per il parere e in giornata sarà approvato dalla commissione Industria, che completerà l’esame del Ddl Concorrenza. Appare dunque evidente che il compromesso raggiunto rimanda e non risolve la spinosa questione dei risarcimenti.

Confermata anche la possibilità per i Comuni di ottenere deroghe tecniche di un anno, fino al termine del 2024, per la chiusura delle gare rispetto al termine del 2023 indicato dal Consiglio di Stato. In sostanza, si sblocca l’articolo 2 sulle concessioni balneari, nodo dirimente per arrivare all’approvazione del Ddl Concorrenza. Riforma nella cornice del Pnrr (che rientra tra i diktat Ue per avere i soldi) su cui il governo Draghi aveva minacciato di porre la questione di fiducia in assenza di un via libera del Senato a un testo concordato entro il 31 maggio. Nel testo concordato dalla maggioranza viene confermata la proroga delle concessioni a fine 2024 nel caso in cui emergano contenziosi o difficoltà nell’espletamento delle gare. Inoltre sarebbe stata eliminata una norma che apriva alla possibilità di acquisire concessioni balneari da parte delle società pubbliche titolari di concessioni di altro tipo. Misura contro cui si era scagliata la Lega.

Sul fronte del centrodestra, esprimono soddisfazione Lega e Forza Italia, sottolineando di aver ottenuto attenzione anche sui caratteri di premialità per l’assegnazione delle concessioni. Caratteri fondati “sul riconoscimento dell’esperienza tecnica e professionale già acquisita; sulla natura dell’impresa: micro, piccola o a condizione familiare, che possa trarre dalla concessione l’unica fonte di reddito; sulla tutela dei lavoratori, promuovendone la stabilità e sulla promozione dell’imprenditoria giovanile e femminile. Per tutelare il valore e l’attività delle imprese italiane, che rappresentano una risorsa fondamentale per il turismo e per l’economia del nostro Paese, occorre sì cancellare le furbizie, verificando il valore reale delle concessioni, ma vanno assolutamente evitate ingiustizie”. Così in una nota congiunta i capigruppo al Senato di Forza Italia e Lega, Anna Maria Bernini e Massimiliano Romeo.

Parere opposto quello espresso dall’altro alleato di centrodestra, FdI (che sta all’opposizione): “Accordo ridicolo e vergognoso. Rimandare la questione degli indennizzi addirittura al governo, con il rischio più che concreto che questi vengano fortemente osteggiati dalla Commissione europea e non vedano mai la luce, vuol dire lasciare totalmente senza tutele i concessionari attuali, che si vedranno in buona parte espropriate le loro aziende a favore delle multinazionali straniere”. Ne è convinta la leader di FdI Giorgia Meloni, che aggiunge: “Ora lo Stato espropria i privati a vantaggio di altri privati, più grandi e più forti”.

Nel centrosinistra invece registriamo la soddisfazione del Pd: “Soluzione assolutamente positiva e ragionevole”. Secondo il responsabile Economia dem, Antonio Misiani “alla fine i decreti delegati, che saranno discussi dal Consiglio dei ministri, risolveranno bene la questione” degli indennizzi “trovando un buon punto di equilibrio”. Dal canto suo, il leader M5S Giuseppe Conte usa parole fotocopia dell’alleato dem: “Soluzione molto equilibrata e molto ragionevole”. A sinistra, Stefano Fassina di LeU, avverte che “la necessità di correggere la direttiva Bolkestein rimane. È una direttiva che, attraverso la liberalizzazione dei servizi in un mercato unico europeo squilibrato e attraverso i bandi, penalizza le piccole imprese e i lavoratori e le lavoratrici in esse occupati”, punta il dito Fassina. “Non promuove la competizione tra le imprese, ma il dumping fiscale e sociale tra sistemi di welfare e condizioni di lavoro. Dopo 15 anni, la sua applicazione andrebbe valutata prima di essere estesa”, conclude l’ex Pci.


Torna alle notizie in home