Economia

Banche o non banche, il taglio dell’Irpef si farà: ma che fatica

Il tema politico è la tassazione degli extraprofitti ma quello economico riguarda il flop dell'export con gli Usa

di Giovanni Vasso -


Banche o non banche. Oggi scade il concordato preventivo e mai termine fu più appropriato: arriveranno le cifre, almeno quelle provvisorie, per comprendere se la misura biennale abbia o meno funzionato. Attenzione, però. Il funzionamento del concordato è da intendersi non esclusivamente nel senso dell’adesione e degli effetti politici della misura. Insomma, non è che al Mef interessi troppo capire se la strada verso il Fisco amico sia stata tracciata. O, almeno, in cima ai pensieri dei ragionieri di via XX Settembre adesso ci sono le cifre, i dati, i numeri. Quanto lo Stato incasserà. E su che cifre ci si potrà muovere. La coperta, anche se le agenzie di rating premiano l’Italia, rimane corta. L’anno passato fu cortissima proprio per “colpa” del concordato: ci si aspettavano almeno 2,5 miliardi. Se ne incassarono 1,6 o poco più. Non bastò a tagliare, in maniera convincente, l’Irpef al ceto medio. La partita, sospesa, riprende in queste settimane.

Banche o non banche. Il viceministro Maurizio Leo, intervenuto ieri a un convegno milanese di Confindustria e Agenzia delle Entrate, ha affermato che la scadenza “verrà mantenuta”. Non ci saranno proroghe, dunque. Ma stavolta, ha assicurato, l’obiettivo è tagliarla davvero l’Irpef, dare seguito a una promessa che, in questo preciso momento storico, diventa una necessità di sopravvivenza per (ciò che resta del) ceto medio sempre più impoverito e tartassato. Ma su questo tema si gioca anche la partita della politica. Che, per un altro po’, terrà banco in maniera preponderante. Forza Italia alza il tiro e chiede di limare l’imposta per i redditi fino a 60mila euro. Per farlo, la Lega chiede di tassare le banche. Che, invece, gli azzurri difendono a spada tratta. Leo, preso tra i due fuochi, non si sbilancia: “Qualcosa faremo”, ha detto parlando degli extraprofitti delle banche. Parole che sono riecheggiate anche in Borsa dove i titoli azionari degli istituti di credito hanno chiuso la seduta con il segno meno: Banca Popolare di Sondrio capofila dei ribassi (-2,8%), seguita da Banco Bpm (-2,77%), Unicredit (-2,75%), Mediobanca (-2,58%), Bper Banca (-2%) e Monte Paschi Siena (-1,64%). Pare evidente che la discussione sull’eventuale proroga delle Dta sarà sempre più centrale nelle prossime settimane. E sembra altrettanto lampante che, stavolta, Forza Italia non sembra avere la minima intenzione di cedere di un millimetro di fronte ai leghisti.

Banche o non banche, c’è pure altro a cui pensare. Se questa è la parte “politica” della vicenda, quella più schiettamente economica offre nuovi spunti importanti sui quali riflettere. Uno di questi riguarda il commercio estero. Il mese d’agosto, per le aziende italiane, è stato un flop. L’export s’è ridotto, fuori dall’Europa, addirittura dell’8,1%. Tutta colpa dei dazi di Trump che hanno compresso il commercio tra l’Italia e l’America: le esportazioni italiane sono crollate del 21,2 per cento. Di converso, l’import dagli Usa al nostro Paese ha registrato un salto di dimensioni epocali: +68,5%. Loro non comprano più da noi, noi li rendiamo ricchi (per quel poco che possiamo). Il problema sarà trovare mercati in grado di far assorbire l’urto al nostro sistema industriale. Per il momento le vendite reggono solo in Svizzera (+4,7%) e Regno Unito (+4,9%). È, questo, uno scenario che non può non essere tenuto presente. Se sarà questa la nuova normalità per l’economia italiana, va da sé che il Mef dovrà rimodellare le priorità. Il presidente Ice Matteo Zoppas invita, però, a non fasciarsi già la testa: “«Non dovrebbero sorprendere i dati dell’Istat sull’export perché ci troviamo di fronte ad un momento di conseguenze agli annunci e tempi ed eventi straordinari. Fino al raggiungimento della stabilità e certezza ed al riallineamento del Sell-In vs Sell-Out dobbiamo abituarci ad una potenziale volatilità”. Ma non è stato solo Trump, o meglio i suoi dazi, a inguaiarci: “Dobbiamo aspettare i prossimi mesi e valutare anche l’impatto del cambio euro dollaro che si attesta su una media del 10% negli ultimi dodici mesi sui precedenti e si somma ai dazi. Aspettiamo i prossimi mesi per tirare le somme”. E mentre che s’attende, contestualmente, per l’industria, resta centrale il problema dell’energia e dei costi da sopportare. Confindustria, col presidente Emanuele Orsini, ha ribadito la necessità per le imprese di un “piano triennale” e, allo stesso tempo, ha rivendicato che non tocca all’industria “mettere mano alla tasca” per rimpinguare i bassi salari reali degli italiani dal momento che “noi siamo quelli che paghiamo di più”.


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