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BanG-italia

di Giovanni Vasso -


A Bankitalia non piace moltissimo la manovra del governo Meloni. O meglio, secondo gli economisti di Palazzo Koch c’è molto da correggere e tante variabili da tenere sotto controllo. E se sui fondamentali c’è, più o meno, un apprezzamento, è sulle misure simbolo della finanziaria che c’è uno iato, profondo, tra Bankitalia e l’esecutivo.
Fabrizio Balassone, capo del servizio struttura economia del dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, ieri mattina è stato ascoltato dai parlamentari delle commissioni riunite di Camera e Senato al Bilancio. Le sue parole hanno rinfocolato, e non poco, il dibattito politico attorno alla manovra. In prima battuta, Balassone ha riconfermato che, in cima ai pensieri di Palazzo Koch, c’è il tema del rapporto deficit-Pil. L’impostazione del governo che ne persegue una riduzione, su scala triennale, è stata apprezzata. E, anzi, è stata definita come una “scelta necessaria” dato “l’elevato livello del debito, l’incertezza e la tendenza all’aumento dei tassi di interesse”. Adesso, iniziano i dolori. I conti di Bankitalia sono presto fatti: “Le misure espansive ammontano a 39,2 miliardi nel 2023 e a 13 nella media del biennio successivo. Le coperture a 18,1 miliardi nel 2023 e a 14,2 nel 2024-25”. Tuttavia, Balassone è tranquillo: “L’ampliamento del disavanzo per il prossimo anno avrebbe dunque natura temporanea e rifletterebbe sostanzialmente la proroga o il potenziamento di misure volte ad attenuare l’impatto sul sistema economico dei rincari energetici”. Ed è un tema importante è quello legato alle misure anti-bollette. Non soltanto per le dimensioni che gli interventi assumono all’interno della manovra, in cui assorbono ben due terzi delle risorse disponibili al governo, ma per gli effetti che questa, in rapporto al Pil e al bilancio dello Stato potrebbe avere: “Si può stimare che qualora gli interventi per imprese e famiglie dovessero essere rinnovate fino alla fine dell’anno alle stesse condizioni previste per il primo trimestre, il costo complessivo sarebbe nell’ordine del 3,5% del Pil, sostanzialmente in linea con quello supportato nel 2022. In questo scenario, sarebbe importante rendere le misure ancora più mirate e selettive, nonché finanziarle prioritariamente ricorrendo a risparmi di spesa o maggiori entrate”. E come fare per operare una selezione? Secondo Balassone, per le famiglie “basterebbe l’Isee” mentre per le imprese occorrerebbe far riferimento ad altri parametri, su tutti andamento di costi e fatturato.
Nel mirino di Bankitalia c’è la flat tax. Secondo Balassone, la tassa piatta accresce “la discrepanza di trattamento tributario tra lavoratori dipendenti e autonomi e, all`interno di questi ultimi, tra contribuenti soggetti al regime forfetario e contribuenti esclusi”. Dunque l’alto funzionario ha spiegato dove sorgerebbero i problemi: “In un periodo di inflazione elevata, la coesistenza di un regime a tassa piatta e uno a progressività come l’Irpef comporta una ulteriore penalizzazione a chi è soggetto a quest’ultimo. La sussistenza di regimi fiscali eccessivamente differenziati tra differenti tipologie di lavoratori pone un rilevante tema di equità orizzontale, con il rischio di trattare diversamente, in modo ingiustificato, individui con stessa capacità contributivo”.
Non vanno bene, poi, nemmeno le scelte sulla cosiddetta “pace fiscale”. Secondo Bankitalia, infatti, le cartelle rottamate “determinerebbero nel 2023 una riduzione delle entrate per circa 1,1 miliardi di euro”. E poi, gli economisti temono “un effetto negativo sul rispetto delle norme tributarie da parte dei contribuenti”. In pratica, Palazzo Koch ha paura che i cittadini possano fare eccessivo affidamento sugli strumenti di rottamazione per non pagare più il dovuto. Insomma, credono che invece di una pace fiscale venga a crearsi una sorta di liberi-tutti all’evasione.
Infine, per quel che riguarda le misure sulle pensioni, in particolar modo su Quota 103 Bankitalia riferisce che “l’impatto sui flussi di pensionamento e di riflesso sui conti pubblici è limitato”. Critiche, invece, sulla conferma di Opzione Donna: “Concedere la possibilità di un’uscita anticipata dal lavoro non va nella direzione di incentivare la partecipazione delle donne”.


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