Attualità

“Basta soldi e armi a Kiev così l’Ue autolesionista fa gli interessi della Nato”

di Eleonora Ciaffoloni -


“Se le istituzioni europee non sono in grado di difendere i propri cittadini, allora sono i cittadini che devono prendere in mano la situazione e fare qualcosa. Chiediamo il cessate il fuoco e l’inizio delle trattative di pace”. Queste le parole di Enzo Pennetta, docente e portavoce del comitato unitario promotore del referendum contro la guerra e contro l’invio delle armi in Ucraina. Un’idea che parte dalla base del principio da cui è caratterizzato l’Articolo 11 della Costituzione, per cui un gruppo di liberi cittadini si è costituito nel comitato denominato proprio “Ripudia la guerra”. Dietro il comitato non solo cittadini, ma anche un importante gruppo di giuristi che hanno elaborato tre quesiti riguardo l’abrogazione delle disposizioni sull’invio di armi all’Ucraina contenute rispettivamente nell’art. 2 bis della Legge 28/2022 e nell’art.1 della legge n. 8/2023; nonché delle disposizioni contenute all’art. 1, comma 6, lettera a) della legge185/1990 che ammettono eccezioni al divieto di invio di armi ai Paesi in stato di conflitto armato. Ma si tratta solo di un primo nucleo del comitato, a cui di aggiunge un corposo gruppo di intellettuali indipendenti, giornalisti, scienziati, artisti, liberi professionisti che vogliono farsi interpreti della volontà popolare che, riconoscendosi nella Costituzione, chiede una pace e quindi la fine della guerra.
Dopo un anno dall’inizio del conflitto la guerra non sembra giungere al termine, anzi, l’Europa spinge per l’invio di nuove armi. Una strada per la pace?
“La situazione attuale mi riporta al ricordo della Prima Guerra Mondiale, cioè al cercare un equilibrio concordato per trovare una soluzione di forza. E se la storia ci insegna qualche cosa, questa è una modalità che porta al disastro. Soprattutto se si va a cercare una vittoria militare contro la prima potenza atomica del mondo. È una politica suicida. E se le istituzioni non fanno scelte diverse, sono le persone che, con gli strumenti che possiedono, devono chiedere ai rappresentanti altre soluzioni che non portino al disastro”.
L’Ue si allinea a Nato e Stati Uniti per il supporto all’Ucraina. Si può parlare di un prolungamento del conflitto?
“È un aspetto evidente a chiunque faccia analisi che la Nato faccia pressioni, come anche il fatto che ci siano motivazioni differenti che spingono a fare scelte differenti. E se l’Unione Europea non è in grado di difendere i propri cittadini, non difendendoli, ma esponendoli al pericolo, sono i cittadini che devono prendere atto della situazione e a fare qualcosa”.
Anche il governo italiano si pone sulla linea dell’Ue dichiarando unità nella difesa e nell’invio delle armi in Ucraina. Anche se da Costituzione l’Italia “ripudia la guerra”, come ricorda il suo comitato…
“Nella situazione attuale non possiamo aspettarci nulla. Nonostante i sondaggi dicano che il 70% degli italiani contrari alla guerra. C’è un difetto di rappresentanza, in cui gli eletti vengono meno a quello che i cittadini chiedono. E che la Costituzione sia violata è altrettanto evidente e c’è la sensazione che si possa forzare in un senso e nell’altro in base agli orientamenti nazionali e sovranazionali. Noi lo notiamo da basso e non chi dovrebbe tutelarla”.
Quale linea dovrebbe intraprendere l’Italia o l’Europa?
“La linea è solo una: cessare il fuoco e far iniziare le trattative. Chiedere prima la sconfitta della Russia e solo in seguito le trattative non ha un senso logico, non si tratta con lo sconfitto. Ma allo stesso tempo si deve trattare e si tratta sempre con qualcuno che ha ‘torto’”.
Lei è portavoce del Comitato per il referendum contro la guerra. Quali sono gli obiettivi? E le adesioni?
“Per noi ciò che conta è l’argomento e quindi siamo un Comitato senza bandiere. Ci uniamo come liberi e comuni cittadini, ma anche un gruppo consistente di giuristi, ma anche intellettuali e chiunque voglia dare supporto. Tutti sono i benvenuti, le porte sono aperte. Volevamo evitare che fosse un referendum ‘politico’ e riconosciuto nei promotori o che scateni un confronto politico tra forze diverse, che sono tutte benvenute”.
Una richiesta senza colori di tutti i cittadini?
“Dato che la Costituzione lo consente, usiamo lo strumento del referendum. Che ha anche l’azione di mettere in moto un dibattito su un argomento inevitabile da affrontare: le persone sono contrarie alla guerra. E per questo deve essere senza bandiera perché contro la guerra maggioranza e opposizione si uniscono”.
Per ora, l’unico Paese a chiedere trattative per una pace è stata la Cina: irrealizzabile?
“Un tentativo che era da fare. Non mi sarei aspettato di più. Di certo le istituzioni europee non dovevano aspettare l’inserimento di altri per chiedere trattative”.
L’Unione Europea si potrebbe porre come intermediario per la pace?
“Qui emerge un altro aspetto e cioè, gli interessi nazionali dei Paesi Ue e delle istituzioni. Dobbiamo prendere atto che ci sono politiche di globalizzazione che rappresentano dei vincoli esterni – spesso non scritti – che spingono i singoli Paesi anche a politiche autolesionistiche pur di mantenerli. Come, ad esempio, ha fatto la Germania con il gas. È un fatto che emerge con grande evidenza”.

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