PRIMA PAGINA – Il bastone e la carota
Il bastone e la carota. Prima il colpo, poi la carezza. Ammesso, e non concesso, che tale sia. La strategia di Donald Trump sui dazi, con l’Ue, è più dura che con gli altri. “Paesi di tutto il mondo vogliono fare scambi commerciali con noi. È una cosa meravigliosa da vedere”, trilla The Don sul “suo” Truth facendo rimbombare nelle menti dei capataz di Bruxelles quella fila di leader alla Casa Bianca per “baciarmi il culo” che scandalizzò, tempo fa, gli osservatori della politica e dell’economia. “I buoni vecchi Stati Uniti avranno presto un’enorme crescita e saranno più forti che mai”, conclude Trump. Non possono dire lo stesso, in Europa. Nemmeno per scherzo, nemmeno per il gusto di trollare gli avversari, come spesso e volentieri fa proprio l’inquilino della Casa Bianca. No. L’Ue, che voleva alzare la voce e lasciar intendere di non importare abbastanza per soddisfare la domanda di dazi americana, è costretta a incassare la graziosa concessione del rinvio dei dazi (al 50%) di quaranta giorni. Dovevano entrare in vigore il 1 giugno, se tutto andrà male (o, comunque, se le cose non andranno come s’auspica il presidente Usa), le nuove tariffe saranno attive dal 9 luglio. A sbloccare la questione la telefonata tra Donald e Ursula von der Leyen. È storia nota. I negoziati s’inceppano, i diplomatici s’impappinano, i leader sciolgono i nodi. Quelli che possono. E poi il valzer dei comunicati stampa, dei tweet su X, degli interventi a latere. Come quello di Christine Lagarde, governatrice Bce, che tenta nonostante tutto di salvare la faccia a Bruxelles. Ammette, Lagarde, che l’applicazione dei dazi “può rappresentare un rischio per l’Europa” dato che “la nostra economia è profondamente integrata nel sistema commerciale globale, con le esportazioni che rappresentano quasi un quinto del nostro valore aggiunto e sostengono 30 milioni di posti di lavoro”. Ma tenta di offrire una consolazione pericolosa: “Ci potrebbero esser anche delle opportunità, il panorama in evoluzione potrebbe aprire le porte all’euro per svolgere un ruolo internazionale più importante”. Speriamo che nessuno dica a Trump che Lagarde riciccia il sogno veteromonetario dell’euro valuta di riserva al posto del decadente dollaro. E, magari, non ditelo nemmeno a Xi che alla dedollarizzazione ci sta lavorando, sul serio, e da tempi non sospetti. Non è tempo di alzare troppo la testa. Lo sanno, a Bruxelles, quelli che fanno politica: “La chiamata è stata avviata dalla presidente von der Leyen- ha detto la portavoce Paula Pinho -, ma in realtà si trattava di un’intenzione reciproca di parlarsi”. Insomma, il bastone di Trump ha colpito forte e la corsa di Ursula a calmare il suo interlocutore è valsa, all’Ue, la carota della sospensione fino a luglio. “Credo che dobbiamo anche usare saggiamente la nuova scadenza, fino al 9 luglio, per negoziare con gli Stati Uniti ed evitare qualsiasi tipo di dazi”, ha detto il commissario Ue all’agricoltura Christophe Hansen. Che sa bene cosa potrebbe accadere se dovesse crollare la trattativa. Si ritroverebbe sotto palazzo Berlaymont una fila di trattori da Bruxelles fino a Vienna. Anche per questo, ma non solo per questo, i leader degli Stati membri tirano un sospiro di sollievo, Macron che se n’è andato nel Sud-est asiatico con l’intento di aprire nuove rotte all’export francese ribadisce sostegno all’Ue. Così come la Germania, la cui economia è oggi costretta a festeggiare il minor numero di licenziamenti rispetto a quelli previsti. Non manca all’appello l’Irlanda, che senza le major americane e le loro sedi distaccate non sarebbe la tigre celtica che crede di essere. I negoziati sono ripresi e ieri pomeriggio il commissario Sefcovic ha discusso con l’omologo Luttnik. Intanto, dopo la grande paura di venerdì, le Borse europee hanno ripreso smalto e vigore. Milano guadagna l’1,3%, meglio di Parigi (+1,21%) e Madrid (+1%). La migliore in tutta Europa è Francoforte con l’1,74% mentre Londra è stazionaria ma cede lo 0,24%. Un’altra carota, dai mercati, dopo il bastone di venerdì.
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